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Cavoli di Bruxelles. O dell'Europa?

Altri 32 morti e 300 feriti. Altre parole, altri proclami: "siamo in guerra", "da oggi non siamo più gli stessi", "dovremo convivere con la paura" e via di questo tenore. Ma da domani o da dopodomani tutto sarà come prima. Senza quasi.

Chi ricorda, ad esempio, le 191 vittime del 7 marzo 2004 alle stazioni spagnole, Atocha la prima? E quelle di un anno dopo, a luglio, le 56 del metrò di Londra? Anche allora le stesse frasi, le iperbole ("Attacco all'Europa" e l'immancabile "siamo in guerra"), la vita che non sarebbe stata più la stessa, la nostra libertà compromessa, il terrorismo che non passerà e avanti di questo tono. Eppure oggi siamo lì a fare i conti con la stessa metodica, le medesime analisi, le identiche proposte. E nulla cambia, salvo - guarda caso - la legislazione d'emergenza che ha ristretto diritti umani, civili e libertà personali.
Dodici anni buttati via con miliardi e miliardi annessi, anzi 15 dal fatidico 2001 quando l'Islam fanatico decise di regolare i conti con un'altra fetta di Islam, quella sciita ad esempio, ma anche quella sunnita non wahabita, in una strategia di destrutturazione e poi ricomposizione del potere politico in Medio Oriente, un processo nato dalla rivoluzione khomeinista prima e dalla prima guerra del Golfo poi con l'intermezzo dello scontro fra l'Iran degli ayatollah e l'Iraq di Saddam Hussein.
In tutti questi anni, dimentichi degli anni"felici" in cui, ad esempio, l'Ira nella sua guerra con la Gran Bretagna  e gli unionisti, ha provocato 3.500 vittime e bombe portate fin nel cuore di Londra, la parola terrorismo è un mantra per ogni politico. Ma solo sul versante interno, la paura porta sempre voti e giustifica le scelte più aberranti in materia di sicurezza. Sul versante esterno, continentale invece nulla: divisioni, invidie, diverso concetto di democrazia fra Est e Ovest, incapacità di prendere decisioni.
Dimentichi di tutto, delle bombe, quelle ricevute e quelle scagliate su avversari prima alleati, poi nemici e magari dopo ancora amici, siano essi in Afghanistan, Iraq, Siria, Libia, nell'Africa subtropicale, nei Paesi delle Primavere delle speranze delle illusioni. Dimentichi e con gli occhi chiusi delle stragi che il jihad ha imposto agli altri musulmani, alle stragi consumate dall'Isi nel Nord dell'Iraq e in Siria, vittime sempre e solo musulmani. E gli Stati europei a far finta du nulla, a credere che al musulmano nato qui bastasse la casa della banlieau e non un lavoro e una integrazione piena con il mondo che era anche suo e dei suoi genitori. Basta dare un'occhiata a questa cartina

de Il Sole 24 Ore per comprendere il peso che le disparità, la diseguaglianza e l'emarginazione hanno nel reclutamento dei giovani aspiranti martiri. Solo pochi giorni fa alla Turchia sono stati promessi sei miliardi per trattenersi i profughi, la chiusura di Shenghen potrebbe costare più di cento miliardi in affari e mancati transiti, le spese per la sicurezza sostenute dal 2001 a oggi sono incalcolabili: fino al 2008 la Nato calcolava almeno 70 miliardi, per difetto e basti pensare che a fronte di una spesa di 2 mila dollari, gli attentati di Londra hanno avuto una ricaduta di 2,5 miliardi di danni.
Se solo si fosse spesa una parte di questa montagna di soldi in politiche e addetti all'integrazione, alla formazione culturale complessiva di immigrati e no, in politiche del lavoro inclusive, in welfare aperti e laici, in strumenti di accoglienza e sostegno ai regimi democratici e non agli "amici" magari gonfi di petroli e desiderosi di investire i lauti guadagni in Occidente, forse oggi si tremerebbe di meno

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