L'Fmi ritocca al rialzo dello 0,1% le stime per entrambi gli anni rispetto alle previsioni di luglio. La crescita è prevista allo 0,8% (ma all'1,2% nel trimestre in corso) e all'1,3% rispettivamente. Limitato per ora l'impatto sulla disoccupazione, stimata al 12,2% quest'anno e all'11,9% il prossimo. Migliorano abbastanza nettamente invece le condizioni della finanza pubblica.
Il deficit scenderà dal 2,7% del prodotto interno lordo nel 2015, al 2% nel 2016 allo 0,2% nel 2020. Il debito pubblico dovrebbe cominciare a calare dal 133,1% del pil quest'anno, al 132,3% l'anno prossimo, al 123% nel 2020.Il governo nella legge di stabilità promette di dare la spinta decisiva attraverso il taglio di tasse (ires per le aziende), la riconferma - seppure parziale - della decontribuzione e soprattutto con una robusta, decisiva, mano dell'Europa sulla flessibilità in materia di deficit/pil fino alla fantastica somma di 16 miliardi che Renzi pensa di poter ottenere, anche attraverso un scomputo dal deficit della quota immigrati. Ma basterà?
No perché entro il 2018 le clausole di salvaguardia saliranno a 55 miliardi e non sarà facile disinnescarle come è stato fatto quest'anno ricorrendo a entrate una tantum come quelle della voluntary disclosure. E tantomeno eliminando la Tasi, come vuol fare il premier e un po' meno il suo ministro del Tesoro. No perché il pareggio di bilancio slitta ancora di un altro anno, perché le privatizzazioni delle attività di molte categorie-caste-corporazioni hanno fatti passi indietro invece di proseguire e la spending review sarà inferiore alle aspettative.
E allora? L'Italia ripiomba nel mondo dei sogni in cui si è cullata per vent'anni, illusa che il mondo vada secondo i ritmi e le metodologie dei decenni democristiani, con intere fette di Paese che hanno vissuto e vogliono vivere ancora solo nelle rete delle amicizie e delle complicità più o meno occulte
spendendo e spandendo senza criteri di efficienza e giustizia. Per questo non ce la può fare e il gioco, pur in presenza di mini-riprese, verrà alla luce alla fine del Qe di Mario Draghi e con l'emergere delle crisi sistemiche della Cina e dei paesi emergenti e con la consapevolezza dell'Europa che le riforme italiane sono provvedimenti di facciata, dietro la quale si celano i problemi di sempre, le leggi addomesticate e piegate ai voleri di parte e dei poteri forti in un brodo di coltura della corruzione praticamente mai intaccato sul serio. E a quel punto resterà spazio per un nuovo Monti che farà pagare l'ennesimo, pesantissimo conto, a chi certo non ha provocato i guai.
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