Parlando di Expo 2015, si può dire che è come lo yogurt: sta scadendo. La seconda visita da privato cittadino - quindi non da professionista dell'informazione - conferma il primo approccio, a fine maggio: una grande Disneyland. E io preferisco l'originale.
Nulla (o quasi) da eccepire sull'organizzazione: ha tenuto e tiene anche se arrivano milioni di visitatori. Magari chi ha lavorato gratis (i cosiddetti volontari) resta ancora un po' scontento e se la cava con l'esperienza. Che lo porterà, con tutta probabilità, all'estero.
Diverso il discorso, a pelle, sull'essenza di Expo2015. Difficile distinguere, nel bailamme delle periferia milanese, la parte ludica da quella didattica. E così alla fine è proprio la prima a prevalere su tutto il resto. E' chiaro che con convegni e dotte descrizioni della terra e dei suoi doni e del rapporto di questa con l'uomo, sarebbe stato complicato allestire un sito che raggiungesse i 21 milioni di presenze. Del resto già a maggio Carlo Petrini parlava in questi termini.
Ma era questo l'obbiettivo di un Expo dedicato al cibo e alla terra, il concentrarsi sui nostri sprechi e sui bisogni altrui, sui progetti delle multinazionali che penalizzano i contadini africani per convincerli a passare agli Ogm? Forse no , a giudicare dalle intenzioni, dai progetti (anche se si sono perse per strada le famose vie d'acqua che forse sono state decisive per vincere contro Smirne (non è un imbroglio questo?). Di conseguenza, meglio puntare sulla parte ludica. Non che siano mancati progetti, presentazioni, iniziative a ripetizione e collaterali, ma sono finiti inevitabilmente in secondo piano.
Alla fine ha prevalso la dimensione "giocosa", facebookiana capace di attirare scolaresche e minorenni, anche se per la verità le scuole sono state trascinate degli insegnanti. Ma ciò che più angoscia è la grande abbuffata collettiva che, in barba al verbo diffuso nelle aree tematiche e in parte anche nei cluster, si è consumata per ognuno di questi quasi sei mesi. Tutti a mangiare, a ingozzarsi instancabilmente, dalle 9 alle 23 dimenticando la biodiversità e le nuove tecniche di coltivazione, trascurando nella pratica i progetti verdi asse portate dell'azione di molti governi, tema invece dimenticato da questo governo. Consci di chi produce più di noi o di chi fatica sbarcare il lunario, il tema cibo è stato al centro dei visitatori dell'Expo, ma nel senso più essenziale del caso, ovvero per accontentare i bisogni della pancia.
In alternativa Expo2015 è stato il luogo del divertimento dei più piccoli, delle serate alcoliche della movida milanese (grazie al biglietto da cinque euro), della caccia al merchandising e infine del gioco del "ci sono stato", sentendosi al centro di un evento mondiale: "sono qui, dunque sono nella Storia". Ovviamente coccolati dai produttori mondiali di cibo industriale, diventati all'improvviso eticamente corretti e ambientalmente rispettosi.
La difesa parla di centinaia, migliaia di eventi a sostegno dell'uso corretto dell'alimentazione, dei progetti alternativi, della cura della terra e dei suoi prodotti, ma quanto di tutto questo è arrivato alla massa dei visitatori, quanto è diventato pratica quotidiana? Qualche seme è stato piantato, ma nello scenario della propaganda quotidiana dei media allineata sulle esigenze della produzione, rischia di non crescere mai e non diventare pratica comune. Valeva la pena di allestire il circo Barnum di cui ha parlato Petrini? O, a questo punto, non era meglio un vero e proprio parco divertimenti, magari senza arricchire i proprietari delle aree e le ditte appaltatrici, spesso investite dalle indagini?
Tutto questo senza contare quanto è costato alla comunità quest'orgia di cibo, perfino poco rispettosa dell'ambiente nella sua collocazione e senza entrare troppo nella polemica sui numeri giusti dei visitatori e sui bilanci (vedere qui ). Magari ci si potrebbe accorgere che gli Expo oltre a non essere più convenienti, sono anche inutili.
Nulla (o quasi) da eccepire sull'organizzazione: ha tenuto e tiene anche se arrivano milioni di visitatori. Magari chi ha lavorato gratis (i cosiddetti volontari) resta ancora un po' scontento e se la cava con l'esperienza. Che lo porterà, con tutta probabilità, all'estero.
Diverso il discorso, a pelle, sull'essenza di Expo2015. Difficile distinguere, nel bailamme delle periferia milanese, la parte ludica da quella didattica. E così alla fine è proprio la prima a prevalere su tutto il resto. E' chiaro che con convegni e dotte descrizioni della terra e dei suoi doni e del rapporto di questa con l'uomo, sarebbe stato complicato allestire un sito che raggiungesse i 21 milioni di presenze. Del resto già a maggio Carlo Petrini parlava in questi termini.
Ma era questo l'obbiettivo di un Expo dedicato al cibo e alla terra, il concentrarsi sui nostri sprechi e sui bisogni altrui, sui progetti delle multinazionali che penalizzano i contadini africani per convincerli a passare agli Ogm? Forse no , a giudicare dalle intenzioni, dai progetti (anche se si sono perse per strada le famose vie d'acqua che forse sono state decisive per vincere contro Smirne (non è un imbroglio questo?). Di conseguenza, meglio puntare sulla parte ludica. Non che siano mancati progetti, presentazioni, iniziative a ripetizione e collaterali, ma sono finiti inevitabilmente in secondo piano.
Alla fine ha prevalso la dimensione "giocosa", facebookiana capace di attirare scolaresche e minorenni, anche se per la verità le scuole sono state trascinate degli insegnanti. Ma ciò che più angoscia è la grande abbuffata collettiva che, in barba al verbo diffuso nelle aree tematiche e in parte anche nei cluster, si è consumata per ognuno di questi quasi sei mesi. Tutti a mangiare, a ingozzarsi instancabilmente, dalle 9 alle 23 dimenticando la biodiversità e le nuove tecniche di coltivazione, trascurando nella pratica i progetti verdi asse portate dell'azione di molti governi, tema invece dimenticato da questo governo. Consci di chi produce più di noi o di chi fatica sbarcare il lunario, il tema cibo è stato al centro dei visitatori dell'Expo, ma nel senso più essenziale del caso, ovvero per accontentare i bisogni della pancia.
In alternativa Expo2015 è stato il luogo del divertimento dei più piccoli, delle serate alcoliche della movida milanese (grazie al biglietto da cinque euro), della caccia al merchandising e infine del gioco del "ci sono stato", sentendosi al centro di un evento mondiale: "sono qui, dunque sono nella Storia". Ovviamente coccolati dai produttori mondiali di cibo industriale, diventati all'improvviso eticamente corretti e ambientalmente rispettosi.
La difesa parla di centinaia, migliaia di eventi a sostegno dell'uso corretto dell'alimentazione, dei progetti alternativi, della cura della terra e dei suoi prodotti, ma quanto di tutto questo è arrivato alla massa dei visitatori, quanto è diventato pratica quotidiana? Qualche seme è stato piantato, ma nello scenario della propaganda quotidiana dei media allineata sulle esigenze della produzione, rischia di non crescere mai e non diventare pratica comune. Valeva la pena di allestire il circo Barnum di cui ha parlato Petrini? O, a questo punto, non era meglio un vero e proprio parco divertimenti, magari senza arricchire i proprietari delle aree e le ditte appaltatrici, spesso investite dalle indagini?
Tutto questo senza contare quanto è costato alla comunità quest'orgia di cibo, perfino poco rispettosa dell'ambiente nella sua collocazione e senza entrare troppo nella polemica sui numeri giusti dei visitatori e sui bilanci (vedere qui ). Magari ci si potrebbe accorgere che gli Expo oltre a non essere più convenienti, sono anche inutili.
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