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Il virus della ripartenza


Distanza sociale, mascherine, lockdown, Confinati in casa e molti posti di lavoro chiusi. Il pressing per riaprire, dopo due mesi di blocco, si fa intenso in Italia. Molte categorie, - lavoro autonomo, piccoli esercizi, piccole e medie industrie, le aziende culturali - sono più che in affanno. Se poi devono fare i conti con la burocrazia italiana, già inefficiente prima del virus, e con le limitatezze di uno Stato indebitato come pochi al mondo, il crac più che dietro l'angolo è quasi assicurato. 
In guaio è che il virus è ben presente, produce centinaia di morti al giorno, ancora migliaia di positivi, tanti ammalati ancora. Il governo, confortato dai report allarmanti degli esperti preoccupati per un possibile allentamento delle misure di contenimento, si muove con i piedi di piombo. Un'altra ricerca, qui sotto,sostiene che lo stop a molte attività produttive ha abbassato il rischio di espansione ulteriore della pandemia. Si tratta di  "una rappresentazione localmente disaggregata del rischio di contagio nel mondo del lavoro" che è stata incrociata con le disposizioni previste dal decreto 25 marzo.


C'è però chi contesta questa impostazione, anzi sostiene che al contrario, secondo tabella dell'ISS, la maggioranza dei contagi è avvenuta nella Rsa e in famiglia, con una percentuale minima nei posti di lavoro. Qui sotto i tweet con la tabella


Si tratta di due questioni diverse: da un lato si studiano i livelli di rischio - ad esempio, sono conteggiati anche gli inattivi - mentre nel secondo caso si tratta solo di una semplice operazione de facto, sui dati reali che però non sono una rappresentazione del futuro su base di un'elaborazione scientifica.
In ogni caso è inutile e sbagliato pretendere di tornare a una cosiddetta normalità: lo choc è troppo potente per pensare di rimettere il mondo sui binari precedenti, sarà necessario cambiare abitudini e adottare nuove regole, rivedere le nostre conoscenze alla luce dei rischi presenti e futuri (leggi qui). Non facile, ma ineluttabile. 

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