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Fatti più in là

Donald Trump e Jim Mattis
La cosa più inquietante è che quell'uomo non legge, non ascolta, non legge i briefing quotidiani, è indisciplinato non si fida di chi ha più esperienza, vuole solo la totale
"... totale freedom to do what he wants when he wants and he’s much closer to getting that, which is what will terrify not only Congress but the rest of the world as well,”
Parole questi ultime di Thomas Wright  della Brookings Institution, mentre
a descrivere il comportamento e le sue pratiche è stato l'ex Segretario di Stato Rex Tillerson. Il soggetto in questione si chiama Donald Trump, uscito forse dalla più caotica e pazza settimana della sua presidenza, la settimana in cui un generale rispettato e di livello con James Mattis, Segretario alla Difesa, ha di fatto sbattuto la porta in faccia all'inquilino della Casa Bianca sostenendo nella lettera di dimissioni che la visione del presidente è una minaccia a quanto hanno fatto dagli Stati Uniti  in questi anni per tutelare l'ordine mondiale. Soprattutto rispetto al fatto che una leadership tale non è praticabile senza un rispetto e la collaborazione stretta con gli alleati.
... "Mentre gli Stati Uniti rimangono la nazione indispensabile nel mondo libero, non possiamo proteggere i nostri interessi o servire efficacemente quel ruolo senza mantenere forti alleanze e mostrare rispetto verso quegli alleati". 
Tuttavia, come ha spiegato lo stesso Tillerson, cercare di contenere Trump è inutile. Un altro generale in pensione non è stato tenero con il commander in chief:
“This is a rogue presidency,. We’ve got Mr. Trump who looks, in the eyes of our allies and of the professionals in the key elements of our national security power, to be incompetent and impulsive and to be making bad decisions and to be excoriating America’s historic allies and then embracing people who are threats to U.S. national security,” he said. (Barry Mc Caffrey sul NyTimes)
Jim Mattis si è ritirato dopo la decisone improvvisa e non condivisa con gli esperti del settore e del Pentagono, di riportare a casa i circa 2 mila soldati americani delle forze speciali dislocati nel nord-est della Siria, nella zona conquistata dai curdi (con la conseguenza che i fedeli alleati curdi, decisivi nella sconfitta dell'Isis, ora sono stati abbandonati, da soli a dover fronteggiare l'ormai imminente assalto turco).
Ma prima di Mattis (cui ha fatto seguito in queste ore l'addio del rappresentante Usa presso la coalizione anti Isis Brett McGurk), era stato licenziato un altro generale, HR McMaster chiamato da Trump come consigliere per la Sicurezza Nazionale. A inizio dicembre era stata la volta del capo dello staff John F.Kelly, qualche giorno dopo era toccato a Jeff Session, il procuratore generale  una sorta di ministro della Giustizia - prima ancora di Nikki Halley, ambasciatrice all'Onu, qualche giorno fa Ryan Zinke, ministro dell'Interno e prima ancora tanti altri: tutti per scontri con il presidente, in genere per aver non tanto contraddetto ma opposto argomenti normativi o strategici alle sue scelte estemporanee. Insomma hanno tentato di tenerlo a bada, perfino cercando di intervenire sulle carte che ha sulla scrivania. Ma è andata male e come rileva Phillip Rucker sul Washington Post "l'era del contenimento è finita":
For two years, they tried to tutor and confine him. They taught him history, explained nuances and gamed out reverberations. They urged careful deliberation, counseled restraint and prepared talking points to try to sell mainstream actions to a restive conservative base hungry for disruption. But in the end, they failed.
La lista degli epurati, licenziati o costretti al pensionamento o alle dimissioni è tuttavia molto più lunga, un'ecatombe. E non finirà qui, visto che ora Trump avrebbe chiesto addirittura ai suoi di rimuovere il presidente della Fed, Jerome H. Powell, reo a suo dire di aver rialzato i tassi contro il parere del presidente esaltato dai successi e dai numeri dell'economia.

Il turnover dell'amministrazione Trump

I risultati sono sotto gli occhi di tutti: sempre in questa settimana, stante la sua volontà di ottenere i finanziamenti per il muro con il Messico, 5,7 mld, e scontrandosi con l'opposizione Dem e molti Rep, ebbene ora si trova a dover  fare i conti con lo stop parziale di alcune agenzie governative, a quella della sicurezza a quella dell'agricoltura, insomma con il temuto shutdown. Ma non solo: le Borse sono in caduta, il Nasdaq ha perso il 20% da agosto, S&P e Down Jones seguono a ruota, gli alleati sono inferociti e disorientati, Russia (soprattutto) e Cina pronti a trarre vantaggio, perfino l'Iran per altri versi è più sollevato, lui è stato perfino costretto a liquidare la Fondazione di famiglia.
Ma lui va avanti cercando di liquidare i veri conservatori di vecchio conio Rep, anche neocon in qualche caso, per affidarsi a personaggi più acquiescenti - anche se il nuovo responsabile dello staff Mick Mulvaney lo ha criticato molto in passato - per cercare di rafforzarsi negli altri settori mentre la trappola del Russiagate e le indagini del super procuratore Robert S.Mueller III si stanno stringendo attorno a lui e si avvicina gennaio quando la maggioranza della Camera passerà ai Dem con tutto quanto ciò può significare - in termini negativi - per lui. E lo sprofondo potrebbe presto peggiorare, i due anni passati ora potrebbero risultare calmi rispetto a quanto verrà, sostengono Peter Baker e Maggie Haberman  de The New York Times.

Una guerra al giorno (Analisi del NyTimes)

Nonostante sia un presidente sempre più solo e isolato da tutti, che passa molto - troppo - tempo davanti al televisore, man mano che passa il tempo e fa fuori i suoi collaboratori si mostra più sicuro. Tanto da voler costruire un inner circle di fedelissimi, yes men ma non solo, uomini (e donne) che con il Gop non hanno molto a che fare ma che piuttosto rappresentano la nuova frontiera sovranista, quella che potrebbe rappresentare il domani e il post Gop. Come del resto è stato teorizzato da Steve Bannon, peraltro un altro giubilato (forse solo in apparenza, per questioni di opportunità e immagine, però) da Trump.
Quindi, osservandola da un altro lato, la situazione potrebbe non essere così sconfortante: il suo elettorato sembra tenere. Ecco il grafico riassuntivo del gradimento del presidente stilato da Nate Silver, il guru di FiveThirtyEight


Anzi, se vogliamo, il sondaggio peggiore lo dà in media al 42% di gradimento, il che non è poco. Non è infatti troppo lontano dalle performance, nello stesso periodo di tempo, di Obama, Clinton, Reagan, Ford mentre decisamente meglio sono andati Bush e Carter, oppure risalendo indietro Kennedy o Johnson. Ma erano altre ere. Lui, che ammette di seguire l'istinto ("il mio intestino") però in questa sua battaglia solitaria contro l'establishment galvanizza il "suo" elettorato, è spronato dallo stesso che lo vede come un cavaliere indomito, coraggioso oltre ogni limite, e anche la maggioranza Dem alla Camera potrebbe dargli nuova forza proprio grazie alla presenza di un antagonista chiaro e deciso a scalzarlo magari anche con la richiesta di impeachment. Ecco perché gli anni a venire potrebbero essere ben peggiori. Sotto tanti, troppi, punti di vista.




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