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Una divisa per amico


Voglia di uomini forti, mania di ordine, nostalgie assolutiste? Anche se il 2019 potrebbe essere l'anno più difficile  per i populisti di tutto il mondo - vedere gli effetti di Brexit, guerre commerciali, recessione che avanza o almeno crescita che rallenta vistosamente,
Paesi in mano ai sovranisti con problemi di bilanci (come l'Italia), le conseguenze di una contrazione delle migrazioni sul lavoro nei Paesi più avanzati, le compressioni delle libertà civili all'Est -, si assiste a un'impennata nella comunicazione "militare" da parte dei politici o comunque nella politicizzazione delle forze dell'ordine e dei soldati
Il caso che più fa discutere, ancora una volta, è quello legato alla visita natalizia a sorpresa del presidente Usa Donald Trump con consorte alle truppe americane in Iraq. Una consuetudine quella dei viaggi  -segreti alla vigilia - dei commander in chief alle truppe schierate negli scenari più complicati e pericolosi. La differenza però è arrivata nell'atteggiamento e nelle parole pronunciate da Trump davanti ai militari. Il presidente oltre alla solita esaltazione del servizio reso e all'orgoglio della nazione verso i suoi figli in divisa, ha approfittato della circostanza per attaccare l'opposizione Dem - pronta a gennaio ad entrare da maggioranza alla Camera -, accusando, citandola per nome e cognome, la speaker Nancy Pelosi e puntando il dito contro i suoi avversari attribuendo loro atteggiamenti e scelte anti-esercito.
Un atteggiamento macho in piena coerenza con il messaggio e l'immagine che Trump vuole dare all'America e al suo elettorato ma che è finito sotto la lente dei riflettori per l'esplicita tendenza  a voler politicizzare l'esercito, cosa molto pericolosa.
“As long as the message from the president is how wonderful it is that they are doing a service for the country, that’s great. But when it turns into a political rally, what do people see? They see enthusiastic soldiers clapping and yelling for a partisan message.” (Charles Blanchard, a former general counsel for the Army and the Air Force during the Clinton and Obama administrations, Washington Post)
Secondo Blanchard il rischio è di minare la fiducia nella terzietà dell'esercito, nella sua indipendenza dal potere politico, qualsiasi che sia, e nel rappresentare la sicurezza e la difesa degli interessi dell'intero Paese e non di una parte. Sotto questa luce sono finiti non solo i discorsi di Trump ma anche il suo atteggiamento successivo, con la firma di cappellini distribuiti dal suo staff con la scritta "Make America Great Again", sottoscrivendo perfino uno striscione con la scritta "Trump 2020" portato da un ufficiale, finendo addirittura per mettere in dubbio la catena di comando  raccontando la sua versione, sulle pressioni di generali, per giustificare la sua decisione di procedere al ritiro delle truppe dall'Iraq.
Ma l'atteggiamento del presidente Usa non è isolato. Sulla stessa linea di amore populista per le divise sembra collocarsi lo stile comunicativo del ministro dell'Interno italiano Matteo Salvini che ama indossare divise e giubbotti delle diverse armi anche al di fuori delle occasioni d'incontro istituzionali, arrivando perfino a esibire l'abbigliamento nelle occasioni dedicate alla vita di partito. Un comportamento che, stando alle norme - articolo 498 del codice penale -, è vietato, ma la circostanza è ignorata e non applicata.
C'è intanto un terzo esempio, eclatante in questo caso, di uso delle divise a scopi politici: è quello del neo presidente brasiliano Jair Bolsonaro, già ufficiale dell'esercito, sospeso per le sue tendenze golpiste e che ora, salito al vertice, ha riempito di ex commilitoni il governo e annunciato - e in parte applicato già da ora - tutta una serie di provvedimenti che ampliano il potere (e gli interessi) dell'esercito sulla società brasiliana.

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