Dal dipinto di Eugene Delacroix del 1830 con la libertà che guida il popolo tenendo la bandiera nazionale in pugno e un fucile nell'altro, alla ragazza simbolo del '68 ( Caroline de Bendern, indossatrice di origini nobili con la bandiera del Vietnam in mano)
fino alla sconosciuta ragazza/signora che si staglia sopra una marea di gilet gialli agitando ancora la bandiera francese. La storia di Francia, e forse del mondo occidentale, passa attraverso immagini simbolo delle rivolte e della capacità dei cittadini d'oltralpe di portare in piazza le rivendicazioni anti regime, sia esso quello aristocratico, o quello conservatore o delle élite.
Inutile girarci intorno: i gilet gialli francesi si sono imposti anche per l'impatto violento dei fiancheggiatori casseurs (di destra e di sinistra) che li hanno portati sui giornali, sugli schermi e sugli smartphone di mezzo mondo. Qualcuno ha cominciato a liquidare la rivolta anti Macron come una delle rituali jacquerie francesi, molto rurali e antiparigine, poi l'analisi ha cominciato ad evolversi dai giudizi sommari (sono di destra, infiltrati dai fascisti, vogliono solo l'abolizione della tassa sull'inquinamento dei carburanti) ad analisi e ammissioni importanti: quelle che hanno cominciato ad ammettere che sotto accusa finisce (ancora una volta) l'aristocrazia conservatrice e tecnocratica e le sue politiche ispiratrici o poi conseguenti alla Grande Recessione iniziata nel 2007-2008 e di fatto mai terminata, alla faccia delle statistiche le quali altro non hanno fatto che estendere a una popolazione globale i progressi legati solo a una fetta di quella popolazione, quella più abbiente, della grande imprenditorialità e della finanza.
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L'origine della protesta
Gilet gialli visti da sinistra
Da un lato la protesta preoccupa, soprattutto le élite, dall'altro piace, seduce (la stampa e i media in particolare, sempre alla ricerca dello show soprattutto a 50 anni torni dal '68), si fa interessante per tutte le parti politiche proprio perché appare a-politica. Quando invece è iper-politica nella sua scomposizione sociale che mette a fianco il proletario occupato, al disoccupato con lo smartphone, la casalinga per la prima volta partecipe in piazza con l'impiegato che non ce la fa più a far quadrare i conti di casa, l'artigiano che evade le tasse con il contadino che le stesse tasse non capisce concepite da menti "cittadine" e "borghesi" lontane dalla provincia come da chi non ha una grande cultura. Preoccupa le élite perché per la prima volta la contestazione alle politiche di austerità e all'uscita dalla recessione solo per i ceti già consolidati e robusti nel reddito colpisce al cuore, identifica e mette a fuoco in un unico eterogeneo fronte la "classe" di chi non ha-ha poco-non ha più-non avrà. Non contano tanto i numeri delle piazze - che sono e saranno sempre avanguardie - ma quelli di chi sta a casa, twitta, impazza nei gruppi whatsapp, guarda la tv e perfino parla nei bar. Stavolta sono la maggioranza, quella che nelle democrazie vota. L'esempio italiano dei populisti che hanno spazzato via gli altri è chiaro e un incubo per la Francia e il resto d'Europa.
Il nodo però è un altro: dove andranno i gilet gialli? In molti fanno notare che la molteplicità contraddittoria del programma è quanto di più alternativo anche con sé stesso, pieno di illusioni, sogni, visioni anche reazionarie e argomenti avversi gli uni con gli altri. Tuttavia va osservato che il programma veicolato sui media italiani è parziale e sembra andare nel verso di una lettura nerogrillina quando invece da Parigi arriva una versione ben diversa e strutturata. Eccola qui.
La domanda è quindi: chi se ne approprierà, ne prenderà la testa, lo guiderà, ne farà il suo mainstream? La destra sembra avvantaggiata, le sue parole d'ordine semplifiche e discriminanti sembrano oggi più forti - perché ben veicolate sui media - di quelle globaliste e solidaristiche, possono contare su appoggi consistenti (uno su tutti Trump che da tycoon super ricco si fa interprete delle istanze di piazza in chiave anti Europa e contro le politiche ambientaliste) ma anche su oscuri finanziamenti e sui troll russi che entrano nel collettivo quotidiano di un occidente sperduto e impoverito. Ma è anche vero che questo tipo di politiche finto sociali e di rivendicazione conservatrice (condite da elementi di oscurantismo e repressione non indifferente), oltre ad essere eterodirette, non portano ad alcun sbocco che non sia alla fine quello di un rafforzamento delle élite medesime, altre rispetto a quelle imperanti, ma sempre di nuclei finanziari ristretti il cui fine ultimo non potrebbe essere altro che perpetrare la condizione marginale di masse un tempo operaie, contadine, femminili e giovanili e del ceto medio. Per questo in Francia non viene nascosto, come accade nelle cronache e nelle ricostruzioni nel resto d'Europa e in Italia in particolare, quanto di sinistra, di rivendicazione, di affermazione radicale c'è nel movimento e che è riassunto da France Insoumise e dall'opposizione non fascista e non gollista.
Oggi in piazza da protagonisti, domani da sudditi in case povere ed emarginati: senza un'adozione di politiche e proposte progressiste il destino di questi giovani e non, uomini e donne, lavoratori e non potrebbe non essere dissimile dal passato una volta appeso all'attaccapanni il gilet giallo.
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