Oggi Raqqa, la fantomatica capitale del Califfato dell'Isis, è caduta sotto le cannonate delle Sdf (Syrian Democratic forces), composte soprattutto da curdi - con le unità di protezione popolare Ypg come asse portante - e un po ' di milizie arabo-siriane. Ma proprio nelle stesse ore l'esercito iracheno, al culmine di una trama bizantina, si riprendeva con la forza Kirkuk ed Ebril, le città tolte due anni all'Isis dai Peshmerga curdi. Ora il Kurdistan iracheno, quello che poche settimane fa - negli stessi giorni della consultazione catalana, guarda caso - era stato confermato da un referendum, non esiste più. O meglio è tornato nell'alveo della regione autonoma come era stata disegnata nell'era post Saddam Hussein. Senza il petrolio - 600 mila barili al giorno, in crescita, tre quarti dei giacimenti del Paese - di Kirkuk.
Cosa è successo è abbastanza chiaro: i curdi fanno paura, il loro ideale di Paese con 35 milioni di abitanti - sarebbe uno dei più numerosi dell'area -, la loro concezione sociale - una repubblica socialista di musulmani che concepiscono i diritti del lavoro, della libertà e la parità fra uomo e donna - sarebbero un pericolo. Per tanti. La Turchia è noto: teme che la minoranza curda al proprio interno possa rivendicare la secessione, e per questo minaccia di intervenire perfino in Iraq. Ma anche e soprattutto l'Iran per il quale una patria curda, con le caratteristiche di cui si diceva prima, sarebbe destabilizzante sul piano ideologico-religioso e rappresenterebbe un concorrente politico temibile in un'area che Teheran ambisce ad aprire al suo espansionismo. Ma anche per Bashar Assad che si vedrebbe privato di aree ricche senza le quali la Siria pre-guerra sarebbe ancora più lontana e forse irraggiungibile. Per questo l'esercito iracheno che ha marciato du Kirkuk era composto principalmente dalle milizie sciite, e quindi filo iraniane, Hashd al Shaabi - comandate almeno formalmente dal premier al Abadi, anche se negli ultimi giorni la presenza dell'uomo forte dei pasdaran, il generale Qassem Suleimani ha indicato la vera mente dell'operazione - che potevano contare sul "tradimento" delle forze del partito Puk facente capo alla famiglia del defunto presidente Talabani, forze che si sono ritirate senza combattere e mettendo in difficoltà in peshmerga dell'altro raggruppamento curdo, il Pdk.
Ecco come è tramontato il Califfato (Washington Post)
Tratto dal Washington Post |
C'è nervosismo, in questi giorni, nella regione. Ecco perché la caduta di Raqqa rischia di rappresentare quasi una minaccia più che una vittoria, la minaccia di equilibri futuri compromessi. I curdi iracheni non saranno più disposti a battersi come prima contro le cellule Isis rimaste sul terreno e forse infiltrate nelle aree sunnite che, dal loro punto di vista, vedono con crescente preoccupazione l'aumento dell'influenza iraniana. E i fratelli curdi del Rojava, a questo punto, guarderanno con maggiore rispetto le mosse di Assad, capace anch' esso - dopo essersi salvato proprio grazie ai combattenti Ypg e alle combattenti Ypj - di venderli magari davanti alle minacce turche.
A rendere, paradossalmente, più precario l'intero quadro vi è la non-posizione americana. Ereditata la campagna da Obama, Trump ha rispolverato qualche vecchio slogan, annunciato un qualche rafforzamento, confermato le alleanze, naturalmente accusando l'Iran di ogni nefandezza. Ma oggi che proprio gli sciiti iracheni hanno in mano metà Paese e l'America non sa che fare, conscia che i suoi rifornimenti per la guerra all'Isis ora sono anche al servizio del tentativo di egemonia delle forze pro Teheran, si apre la partita decisiva. (Leggi qui)
Trump rivendica con orgoglio il suo vuoto "non stare con nessuno", ma oggi con i curdi diffidenti e abbandonati nel nord dell'Iraq, Washington deve constatare che lo spazio cercato anche in funzione anti Mosca, fedele e forte sostenitrice di Damasco e Teheran, non c'è ancora e forse mai più con l'eccezione delle preziose basi nel Rojava. Nessun recupero di terreno nell'area, se non il consolidamento dell'alleanza con Riad, e una drammatica assenza di leadership che oggi fa tremare i pur forti e coraggiosi curdi.
Tratto dal Washington Post |
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