ULTIMISSIMA ORA: Hillary Clinton candidata per i democratici, ha vinto in California e in New Mexico. Ora restano solo le primarie del 14 giugno del District of Columbia. Le convention si terranno a fine luglio. La prima, repubblicana a Cleveland (Ohio) dal 18
al 21 luglio. La convention democratica si terra' a Filadelfia
(Pennsylvania) dal 25 al 28 luglio.
ULTIMA ORA: secondo l'Ap Hillary Clinton avrebbe raggiunta la maggioranza di 2.383 fra delegati e superdelegati necessaria per avere la nomination democratica e sfidare Trump. L'annuncio arriva a poche ore dal Supermartedì e soprattutto dal voto californiano dove l'ex first lady è in bilico. La notizia potrebbe essere stata fatta filtrare proprio per aiutarla nella sfida che ha anche un alto valore simbolico. E vuole anche chiudere la porta in faccia a Sanders che sui superdelegati vuole dare battaglia. Leggete qui sotto retroscena e scenari della sfida finale dentro i Democratici americani.
Partito Democratico, è l'ora cruciale. Si vota nell'ultimo supermartedì perché alle primarie andrà la progressista California che, per il suo peso, darà la spinta decisiva verso la nomination. O complicherà i giochi. Di Hillary Clinton, naturalmente.
ULTIMA ORA: secondo l'Ap Hillary Clinton avrebbe raggiunta la maggioranza di 2.383 fra delegati e superdelegati necessaria per avere la nomination democratica e sfidare Trump. L'annuncio arriva a poche ore dal Supermartedì e soprattutto dal voto californiano dove l'ex first lady è in bilico. La notizia potrebbe essere stata fatta filtrare proprio per aiutarla nella sfida che ha anche un alto valore simbolico. E vuole anche chiudere la porta in faccia a Sanders che sui superdelegati vuole dare battaglia. Leggete qui sotto retroscena e scenari della sfida finale dentro i Democratici americani.
Partito Democratico, è l'ora cruciale. Si vota nell'ultimo supermartedì perché alle primarie andrà la progressista California che, per il suo peso, darà la spinta decisiva verso la nomination. O complicherà i giochi. Di Hillary Clinton, naturalmente.
Quelle californiane sono primarie semi-chiuse, ma il vero dato importante sono i delegati in palio: 475 delegati. Si voterà anche nel Montana (primarie aperte, ma qui sono in ballo solo 21 delegati), nel New Jersey (primarie semi-chiuse, 126 delegati), in New Mexico (primarie chiuse, 34 delegati), in North Dakota (caucus aperti, 18 delegati) e South Dakota (primarie semi-chiuse, 20 delegati).
Questa è la situazione:
La Clinton è a una manciata di delegati per raggiungere la soglia famosa per ottenere la nomination, contando anche i superdelegati che sono, finora, massicciamente schierati in suo favore. Come il partito (e le regole consolidate) vogliono. Nel dettaglio 542 la sostengono, solo 43 sono dalla parte di Bernie Sanders, che però contesta questo sistema ma, al tempo stesso, corteggia questi nominati dal partito per cercare di portarli dalla sua parte.
Se si aggiudica la California l'ex first lady potrebbe anche rinunciare quasi a questo bonus. Il problema nasce se Sanders dovesse spuntarla contando sull'appeal che ha da queste parti - soprattutto fra i giovani e chi lavora nell'industria dell'elettronica e dello spettacolo - e sulla tendenza verso la sinistra radicale che lo stato più popoloso d'America ha. Anche se il suo governatore Jerry Brown, famoso avvocato libertario negli anni sessanta-settanta e allora compagna di un'icona country-rock come Linda Ronstadt, ha assicurato il suo appoggio a Hillary.
Sul piano dei delegati per la nomination anche una vittoria di Sanders, (che dovrebbe essere larga e con un margine superiore ai 10 punti) non riuscirebbe a ribaltare la partita. E lo stesso accadrebbe se il senatore del Vermont vincesse anche tutte le altre partite ancora aperte. Però una sua vittoria in California avrebbe un peso politico enorme dentro il Partito Democratico. La Clinton vedrebbe compromessa la sua immagine di candidata in grado di assicurarsi i voti dei giovani e della parte più avanzata della società. E quella di sinistra.
I sondaggi non risolvono l'incertezza. Questo uno degli ultimi rilevati da RealClear Politics
Il problema reale è però cosa vuol fare Bernie. Lui vuole andare avanti, fino alla convention di Chicago, nonostante i ripetuti inviti del partito aa deporre le armi per non danneggiare la campagna della Clinton contro Trump. Ma lui, nonostante alcune voci diano la sua squadra divisa tra falchi "sandinisti" e colombe, è pronto a rilanciare sulle sue proposte - salario minimo a 15 dollari all'ora e divieto di fracking -, a contestare il sistema del superdelegati (rispetto a quelli "veri", quelli impegnati ed eletti dalla gente e su questo minaccia di scatenare la battaglia direttamente alla convention democratica di fine luglio) e ad attaccare la sua avversaria sui finanziamenti oltre che da Wall Street anche da ambienti internazionali vicini a regimi dittatoriali. Del resto l'anziano senatore usa tutti gli argomenti, non ultimo quello dei sondaggi che mostrano come lui avrebbe meno problemi a vincere largamente contro Trump rispetto a quanto potrà fare l'ex Segretario di Stato. Vedere qui sotto:
La sua strategia però guarderebbe più in là. Bernie Sanders, conscio che non riuscirà a spuntarla sulla Clinton, in effetti vorrebbe giocare il seguito ottenuto, la visibilità e le sue proposte per assicurare alla sinistra radicale una solida rappresentanza al Congresso e al Senato così da condizionare in modo profondo e forse decisivo la politica della futura presidente. Alla quale potrebbe anche "imporre" un vice radicale. Elisabeth Warren? Sarebbe un ottimo nome, ma due donne al vertice dello Stato potrebbero essere una prova troppo forte per gli Usa.
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