La notizia più dirompente della giornata arriva ancora dal lago di Como, protagonista nei giorni scorsi di una campagna del giornale locale - La Provincia di Como - per smuovere un cantiere eretto per costruire delle paratie antiesnondazione
e ancora lì dopo 8 anni e un costo lievitato - per ora - dai 7-8 iniziali a oltre 33 milioni di euro. La notizia del giorno è l'arresto di due tecnici comunali che del progetto paratie furano in qualche modo i padri putativi, avendolo seguito fin dall'inizio e per questo, tra l'altro, anche confermati dall'amministrazione di centrosinistra subentrata a quella precedente - di centrodestra- che proprio contro quel progetto si schierò fin dall'inizio.
L'iniziativa della Procura lariana arriva dopo anni e anni di polemiche, sospetti e denunce e dopo che l'Autorità anticorruzione aveva di fatto svelato le carenze (se non peggio) di un progetto (anche se poi rivisto) ormai bloccato, decretandone di fatto una sorta di archiviazione e suggerendo un azzeramento e riavvio totali.
Nel merito delle accuse a dirigenti comunali e a imprenditori entrerà la magistratura e solo lei dovrà decidere se vi sono stati o meno comportamenti illeciti.
All'opinione pubblica però spetta ben altro e non solo per quanto riguarda la vicenda comasca. All'opinione pubblica per questo e altri episodi spetta una risposta chiara e univoca: che la corruzione è uno dei più dolorosi e pericolosi mali endemici dell'Italia e che finora, nonostante inchieste da Mani Pulite in poi e Anac, non abbastanza è stato fatto. Anche perché non si tratta solo di reprimere, e per questo servirebbero armi più efficaci e svelte, tali da non impantanarsi nella melma di un sistema normativo antico e di fatto studiato per ostacolare più che favorire il contrasto.
Ma, come detto, reprimere non basta: bisogna prevenire e scongiurare, far sparire - per quanto possibile - la voglia di corrompere e farsi corrompere. E qui sta il difficile e anche il fallimento italiano laddove il nostro Paese nel Corruption Perception Index (Cpi) è al 69.mo posto nel mondo su 175 Paesi e fra le posizioni estreme in Europa. E dire che, non senza la corruzione (di fatto impossibile vista la natura umana e l'attrattività del "soldo" in un mondo in cui lo stesso "soldo" è considerata la chiave di volta di ogni azione) ma con un livello come quello tedesco (12.ma posizione nel Cpi), l'impatto sulla ostra economia sarebbe "devastante", in senso positivo naturalmente. Per averne un'idea, solo accademica vista la complessità di ogni calcolo, è interessante leggere il metodo del professor Lucio Picci il quale ha basato il suo studio sul Public Administration Corruption Index, o PACI, sul già detto Cpi e sul Cci, il Corruption Control Indicator della Banca mondiale.
Secondo il docente bolognese
Dunque 585 miliardi in più di Pil (un terzo dell'attuale) anche se lo stesso docente avverte che la stima non è realistica per le variabili che influiscono. ma certo dà una tendenza, un'unità di misura di quanto l'Italia sia ancorata al fondo.
I costi della corruzione non sono facilmente individuabili. Lo rimarca Claudio Gatti sul Sole 24 Ore del 16 gennaio 2016 che cita Alberto Vannucci, professore di Scienze Politiche dell’Università di Pisa e autore di “Atlante della corruzione”, secondo il quale
Il dato globale non può quindi sfuggire da un elemento non probante ma significativo, alla portata dell'uomo della strada e ancora più dichi ha responsabilità politiche: quando i costi di opere come quelle di Como e come le mille e mille simili in Italia - ma non dimentichiamo il rimosso dossier Expo - lievitano facilmente - per la Corte dei Conti in Italia il costo è superiore del 40% rispetto all'estero - e oltre un certo limite (anche al di sotto delle soglie attuali del 20%) e i tempi di realizzazione si dilatano, l'allarme deve scattare, comunque. E prima nel cittadino che nell'Anac di turno. Che vi siano comportamenti leciti o no all'origine, lo stop dev'essere automatico e altrettanto il cambio dei tecnici interessati e delle ditte coinvolte. A prescindere. In nome della serietà dei conti pubblici, del rispetto degli stessi, delle tasse pagate dal cittadini. E dell'onestà in generale.
Cosa fare lo suggerisce sempre il professor Picci:
e ancora lì dopo 8 anni e un costo lievitato - per ora - dai 7-8 iniziali a oltre 33 milioni di euro. La notizia del giorno è l'arresto di due tecnici comunali che del progetto paratie furano in qualche modo i padri putativi, avendolo seguito fin dall'inizio e per questo, tra l'altro, anche confermati dall'amministrazione di centrosinistra subentrata a quella precedente - di centrodestra- che proprio contro quel progetto si schierò fin dall'inizio.
L'iniziativa della Procura lariana arriva dopo anni e anni di polemiche, sospetti e denunce e dopo che l'Autorità anticorruzione aveva di fatto svelato le carenze (se non peggio) di un progetto (anche se poi rivisto) ormai bloccato, decretandone di fatto una sorta di archiviazione e suggerendo un azzeramento e riavvio totali.
Nel merito delle accuse a dirigenti comunali e a imprenditori entrerà la magistratura e solo lei dovrà decidere se vi sono stati o meno comportamenti illeciti.
All'opinione pubblica però spetta ben altro e non solo per quanto riguarda la vicenda comasca. All'opinione pubblica per questo e altri episodi spetta una risposta chiara e univoca: che la corruzione è uno dei più dolorosi e pericolosi mali endemici dell'Italia e che finora, nonostante inchieste da Mani Pulite in poi e Anac, non abbastanza è stato fatto. Anche perché non si tratta solo di reprimere, e per questo servirebbero armi più efficaci e svelte, tali da non impantanarsi nella melma di un sistema normativo antico e di fatto studiato per ostacolare più che favorire il contrasto.
Ma, come detto, reprimere non basta: bisogna prevenire e scongiurare, far sparire - per quanto possibile - la voglia di corrompere e farsi corrompere. E qui sta il difficile e anche il fallimento italiano laddove il nostro Paese nel Corruption Perception Index (Cpi) è al 69.mo posto nel mondo su 175 Paesi e fra le posizioni estreme in Europa. E dire che, non senza la corruzione (di fatto impossibile vista la natura umana e l'attrattività del "soldo" in un mondo in cui lo stesso "soldo" è considerata la chiave di volta di ogni azione) ma con un livello come quello tedesco (12.ma posizione nel Cpi), l'impatto sulla ostra economia sarebbe "devastante", in senso positivo naturalmente. Per averne un'idea, solo accademica vista la complessità di ogni calcolo, è interessante leggere il metodo del professor Lucio Picci il quale ha basato il suo studio sul Public Administration Corruption Index, o PACI, sul già detto Cpi e sul Cci, il Corruption Control Indicator della Banca mondiale.
Secondo il docente bolognese
"la stima più elevata dell'impatto della corruzione implica, per ogni punto in più nell'indice CCI (che corrisponde a una riduzione della corruzione), un incremento di $ 11182 dollari nel PNL pro capite. Secondo la stima più modesta, l'incremento sarebbe di $8547. La differenza di corruzione tra Italia e Germania, in termini dell'indice CCI, è pari a 1.48. Se invece consideriamo il PACI, la differenza tra i due paesi (calcolabile nella stessa scala del CCI, utilizzando la relazione all'incirca lineare che sussiste tra CCI e logaritmo del PACI ) è pari soltanto a 0.67. Per calcolare il costo economico pro capite per "non essere la Germania", moltiplichiamo il costo per un punto in meno del CCI per il numero di punti che separano l'Italia dalla Germania. Ne risultano, per tutte i valori alternativi, quattro possibili combinazioni. Le riassumiamo calcolandone la media, ed esprimendo il risultato in Euro.Otteniamo, pro capite, un costo complessivo (che racchiude tutti gli effetti "indiretti" della corruzione, almeno per come vengono riflessi dal PNL) pari a 10607 Dollari, circa 9700 Euro. Per l'Italia nel suo complesso, questo corrisponde a circa 585 miliardi di Euro, a fronte di un Prodotto nazionale lordo che, nel 2014, fu pari a 1616 miliardi di Euro. Si tratta di una cifra enorme: secondo questi risultati, se il livello di corruzione in Italia fosse pari a quello tedesco, il reddito pro capite italiano passerebbe (dati 2014) da 26600 Euro a 36300 circa, ovvero persino superiore al prodotto pro capite tedesco, che nel 2014 non raggiunse per poco i 36 mila Euro (dati IMF-WEO). E se il confronto lo avessimo effettuato non con la Germania ma, per esempio, con l'ancor più virtuosa Danimarca, l'impatto del differenziale di corruzione sarebbe stato più ingente".
Dunque 585 miliardi in più di Pil (un terzo dell'attuale) anche se lo stesso docente avverte che la stima non è realistica per le variabili che influiscono. ma certo dà una tendenza, un'unità di misura di quanto l'Italia sia ancorata al fondo.
I costi della corruzione non sono facilmente individuabili. Lo rimarca Claudio Gatti sul Sole 24 Ore del 16 gennaio 2016 che cita Alberto Vannucci, professore di Scienze Politiche dell’Università di Pisa e autore di “Atlante della corruzione”, secondo il quale
"non abbiamo idea del costo della corruzione, ma è chiaro che il fenomeno è endemico. Dalle evidenze giudiziarie si può pensare che il suo ordine di grandezza sia di qualche decina di miliardi. Ma questo è solo il costo del trasferimento di risorse dalle tasche dei contribuenti a quelle delle varie cricche. Il vero costo della corruzione è ben maggiore ed è legato anche a tutte le distorsioni che essa produce nei processi di scelta delle opere pubbliche e della politica economica, oltre che della stessa classe politica e di quella imprenditoriale.Gatti ricorda altresì che
"secondo un recente studio americano sull’impatto della corruzione nelle spese degli stati americani condotto da John Mikesell, professore della School of Public and Environmental Affairs dell'Università dell'Indiana, gli stati con più condanne per corruzione risultano non solo aver speso più del necessario in servizi e lavori pubblici, ma aver anche favorito il “dirottamento” di fondi pubblici su progetti “corruption-friendly”, come le grandi opere stradali. Quegli stessi stati hanno inoltre dimostrato un’anomala propensione all'emissione di debito. Come spiega Mikesell, «funzionari pubblici corrotti sembrano avere maggiori incentivi a nascondere il peso reale della spesa pubblica attraverso il debito». Suona familiare?"
Il dato globale non può quindi sfuggire da un elemento non probante ma significativo, alla portata dell'uomo della strada e ancora più dichi ha responsabilità politiche: quando i costi di opere come quelle di Como e come le mille e mille simili in Italia - ma non dimentichiamo il rimosso dossier Expo - lievitano facilmente - per la Corte dei Conti in Italia il costo è superiore del 40% rispetto all'estero - e oltre un certo limite (anche al di sotto delle soglie attuali del 20%) e i tempi di realizzazione si dilatano, l'allarme deve scattare, comunque. E prima nel cittadino che nell'Anac di turno. Che vi siano comportamenti leciti o no all'origine, lo stop dev'essere automatico e altrettanto il cambio dei tecnici interessati e delle ditte coinvolte. A prescindere. In nome della serietà dei conti pubblici, del rispetto degli stessi, delle tasse pagate dal cittadini. E dell'onestà in generale.
Cosa fare lo suggerisce sempre il professor Picci:
1. Uno sguardo ampio
Diffidiamo dai proclami e dalle ricette semplicistiche e demagogiche. Per esempio, non serve inasprire le pene per i reati di corruzione. Esse sono già aspre: quando prevale un'aspettativa di impunità, l'effetto di deterrenza di una pena non aumenta con la sua severità. E' invece necessario aumentare la probabilità che i rei vengano condannati. E per questo, come si è detto, è opportuno avere uno sguardo d'insieme sulla "governance pubblica". Sull'efficacia delle forze dell'ordine e della magistratura, certo, ma anche sull'insieme delle mille regole sugli appalti, e in generale sull'efficienza e sull'efficacia complessiva dell'agire pubblico. Metter mano alla governance richiede determinazione, tempo, e volontà di realizzare un lavoro oscuro e dalla scarsa visibilità mediatica. Su questo fronte, dobbiamo chiedere a chi ci governa di "stare sul pezzo".
2. Più trasparenza
La trasparenza è condizione necessaria perché chi ha responsabilità pubbliche sia soggetto a controllo. In Italia ve n'è poca. Per primo, non sono disponibili dati puntuali sugli acquisti pubblici, come avviene ormai in numerosi paesi (per esempio, l'Ecuador: si veda qui). Le informazioni esistono, innanzitutto nelle banche dati di fatto segrete presso Consip e l'Autorità Nazionale Anticorruzione. Dovrebbero essere invece pubbliche, sotto forma di "dati aperti" (un tema in cui, sino ad ora, in Italia si son fatte soltanto chiacchiere). Un alibi per la pubblicazione di dati così dettagliati è la normativa sulla privacy, che in Italia è causa di molti danni. Inoltre, in Italia manca una legge che garantisca ai cittadini il diritto di accedere alle informazioni in possesso della pubblica amministrazione (sul modello, per esempio, del Freedom of Information Act statunitense).
(ndA, qualcosa di simile al Foia sta per essere varato anche in Italia, ma il documento prodotto dal ministro Madia e all'esame delle Camere è ancora molto distante dal parente americano e lascia tuttora un potere troppo ampio alle amministrazioni, è ancora complesso, eccessivamente burocratico, rende complicata ogni azione di controllo)
3. Leggibilità e rendicontabilità
Non basta avere le informazioni. Per garantire la rendicontabilità (o, se preferite l'inglese, l'accountability) di chi governa e amministra, bisogna che le informazioni siano "leggibili", affinché si possa risalire lungo la catena delle responsabilità. Per quanto riguarda la spesa pubblica, due criteri dovrebbero essere garantiti. Primo: per ogni spesa si deve poter identificare immediatamente l'amministrazione e gli amministratori responsabili. Secondo: ogni intervento pubblico deve essere "tracciabile" nel tempo. Significa anche che deve esservi un collegamento tra interventi distinti per ottenere lo stesso risultato (per esempio: quanti contratti nel tempo sono stati stipulati per realizzare la Salerno-Reggio Calabria, e con quali caratteristiche?).
4. I mass media devono fare il loro mestiere
Il ruolo dei mass media è fondamentale, e particolarmente prezioso è il giornalismo investigativo. Maggiore trasparenza (per esempio, attraverso "dati aperti", vedi sopra) aiuterebbe anche i mezzi di informazione a svolgere il loro ruolo di "cani da guardia" del potere. In Italia, il dibattito al riguardo è anemico, e influenzato dalla presenza di un servizio pubblico ingombrante ed inadeguato. Chiediamo ai media di fare il loro mestiere, attrezzandosi meglio e anche acquisendo competenze per l'analisi dei dati, ora quasi assenti nella maggior parte delle redazioni. Come testimonia, per esempio, il ruolo che i maggiori quotidiani italiani hanno avuto nel propagare acriticamente le due "bufale" citate più sopra.
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