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Il fattore T


Duecento miliardi di merci su cui pioveranno i rincari dei dazi americani dal 10% stabilito fino a ieri fino al 25% deciso ora dal presidente Trump. I colloqui in corso con la Cina, che sembravano essere giunti a un buon punto, sono tornati in alto mare. E nonostante l'ottimismo che i più diplomatici delle due parti cercano di diffondere, la maggioranza degli esperti e dei politici di mezzo mondo sa che non sarà tanto facile. perché di mezzo c'è il fattore T. T come Trump.
Il presidente è la vera variabile indipendente di questa guerra commerciale nata pure su un problema reale a lungo ignorato o tollerato dalle precedenti amministrazioni, ma affrontato coni metodi e i fini propri della singola Trumpeconomics, ovvero il massimo della strategia della pancia, basata su uno stile più adatto ai tavoli da poker che alla diplomazia e ai rapporti internazionali.
Adesso però il mondo trema, la Cina oscilla tra i timori di vedere la sua crescita ridimensionata in modo significativo e l'America divisa fra chi vede il disastro imminente - qualcosa di simile alla Grande Crisi del 2007-2008 - e si tratta soprattutto dei Dem e dei Rep vecchio stile e quanti, in maggioranza sostenitori del presidente, rivendicano l'esigenza di piegare qualsiasi e la Cina più di tutti ai voleri di un'America di nuovo forte. Tuttavia, in quest'ultima frazione, staziona buona parte del paese che non sa vedere quali possono essere le conseguenze.
Lasciando stare le aziende sulle due sponde, presto - al massimo fra qualche mese visto che le imprese più grandi, le catene della GDO, cercheranno di attenuare i contraccolpi il più possibile, mentre i soggetti minori non potranno permettersi neppure una riduzione dei profitti seppur ricompensata da un possibile aumento delle vendite - saranno però proprio gli americani, la classe media e i più poveri naturalmente, ad accorgersene. Gli importatori Usa stanno cercando di premere sui loro corrispondenti cine per far sì che questi ultimi limino al massimo i loro profitti così da non far avvertire troppo le conseguenze dell'incremento  fiscale sul prodotto in vendita. 
Ma se le cose non si sistemeranno, se non vi sarà l'accordo, se ne accorgeranno anche ampi strati di popolazione europea e dei Paesi dalle finanze più precarie e americo-dipendenti.

Le 194 pagine dei prodotti colpiti
Nonostante questo i primi rincari sono già arrivati. Come racconta il NyTimes 
... "un quarto delle tariffe sono state collocate su articoli che i ricercatori del Peterson Institute for International Economics hanno classificato come beni di consumo . Includono $ 11,3 miliardi di importazioni di mobili, $ 9,2 miliardi di ricambi auto e $ 6,6 miliardi di bagagli"
In ogni caso imprese ed economisti non hanno dubbi, considerata anche la minaccia di Trump di estendere l'aumento dei dazi ad altri 350 mld di prodotti: i prezzi aumenteranno e si perderanno posti di lavoro. L'impatto sarà comunque devastante nelle sue dimensioni: per Panjiva su quasi 100 mld di dollari di prodotti mirati la Cina fornisce più della metà delle importazioni che gli americani acquistano.
Sempre secondo il NyTimes "tra gli articoli che potrebbero diventare improvvisamente più costosi vi sono  le attrezzature da esterno, come borse da viaggio, zaini e il tessuto a maglia utilizzato nei giubbotti in pile". Accanto a questi prezzi più alti fin da subito anche dei collari per cani, i guanti da baseball e i guanti da sci  oltre a mazze e lame per le seghe. Rincari non di poco conto per gli articoli da illuminazione quasi tutti importati dalla Cina e tutti compresi nella lista. 
Altri beni di consumo colpiti sono  la carta igienica, le forniture d'arte, le piastrelle di ceramica, il vetro parabrezza e gli oggetti d'antiquariato che hanno più di 100 anni. Poi le custodie per CD, lettori CD, cassette e lettori di cassette, abbigliamento in pelle di rettile, tessuti di cotone tinti a maglia o uncinetto, incudini, supporti per materassi, le luci dell'albero di Natale senza dimenticare che un sesto dei circa 6 mila prodotti riguardano il comparto chimico. E un altro sesto riguarda alimenti e bevande, verdure come cavoli,  carote e barbabietole, insieme a centinaia di tipi di pesce sebbene su quest'ultimo prodotto, le lobby sono riuscite ad esentare dagli aumenti alcuni pesci catturati in Alaska che vengono esportati in Cina per essere lavorati e poi reimportati negli Stati Uniti. A titolo di esempio fra i prodotti colpiti vi sono anche semi di senape, paste ripiene, cotte o altrimenti preparate o meno, olive (non verdi), in soluzione salina, in contenitori ermetici di vetro o metallo ma non in scatola, marmellata di fragole, vino di riso o sake, salsa di soia.
Di sicuro impatto  sarà la tassa del 25% su computer e componenti per computer il che, annota sempre il NyTimes, "potrebbe costringere molti consumatori a cercare marche più economiche o ritardare l'acquisto.

Veniamo ora all'aspetto politico-economico della vicenda. Secondo alcuni commentatori il presidente Usa avrebbe deciso di forzare la situazione dopo aver percepito che Pechino voleva rivedere l'accordo in pratica già raggiunto e ridurre quindi gli effetti del compromesso raggiunto. Questa però potrebbe essere una "lettura" made in Casa Bianca. Di certo è che Pechino adesso non vuole cedere,  Un articolo sulla stampa cinese avverte che "se vuoi parlare, possiamo parlare. Se vuoi combattere, combatteremo". Come prima misura Pechino non ha partecipato  alle aste per i titoli di Stato americani (un quarto di questi sono proprio nella mani cinesi) e promesso ritorsioni. Che tuttavia potrebbero rimanere appunto solo promesse per non compromettere quella ritrovata crescita cinese, dopo il calo della seconda metà dello scorso anno, crescita stimata nel primo trimestre del 6.4% grazie soprattutto alla massiccia iniezione di denaro nel sistema finanziario e alla maggiore disponibilità al credito. Così in fondo a Pechino si spera e si conta sul fatto che Trump non vorrà spingere fino in fondo con il rischio di innescare una sfida globale.

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