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La... campagna di Trump


Le industrie stanno pagando da tempo il raffreddamento sull'asse con Pechino dovuto alla guerra commerciale lanciata da Trump. Ma ora un'altra categoria, potente - soprattutto perché al suo interno vibra molto forte la componente pro Trump - sta tremando: quella degli agricoltori.

Dopo l'annuncio del presidente di imporre dazi portati al 25% dal 10 precedente sulle merci cinesi per 200 mld di dollari (e la minaccia di intervenire sugli altri 350 mld), la Cina ha risposto in due modi: uno palese ma secondo la tradizione orientale più morbido e un altro, meno percepibile dal cittadino comune, ma molto più insidioso, che nel suo attuarsi mostra non tanto i danni immediati - parziali - ma quelli - consistenti - possibili nel futuro. Così Pechino ha deciso un rincaro dei dazi su 60 mld di importazioni dagli Usa come prima misura di ritorsione, ma nel contempo si è ritirata e ha fatto ritirare i Paesi a lei vicina, dalle aste sui titoli di Stato americani.
Il 7 maggio l'asta del Tesoro ha dovuto cedere su un collocamento da 38 mld su titoli  a tre anni e il giorno dopo è andata allo stesso modo per altri 27 mld stavolta però su bond a dieci anni.
Spiega il Sole 24 Ore che
... "entrambe le aste hanno segnato la peggiore perfomance dei T-bond americani degli ultimi anni: il decennale è stato collocato con un rendimento del 2,479% rispetto al previsto 2,46%, segnando il più elevato balzo in punti base dall’agosto 2016, mentre il bond triennale ha registrato non solo il peggior rapporto Bid-to-cover (2,17 rispetto al 2,55 precedente). (Registrato) un crollo verticale degli acquisti sul mercato indiretto, dove il Governo cinese è da sempre il più grande acquirente di bond sovrani americani."
Fin qui è emerso soprattutto il fattore T, però ora con questa "risposta" di Pechino prende corpo il fattore C. C come Cina.
La mossa sul mercato dei bond, secondo molti analisti, sarebbe servita subito a convincere Trump a  non spingere ancora ( per il momento), anzi lo avrebbero spinto all'ottimismo sulla possibilità di arrivare presto, prima di giugno quando dovrebbe scattare un'altra tranche di dazi, a un accordo con il premier Xi Jinping.
Intanto però la guerra va avanti, con alti e bassi. La Cina ora punta  a far male, almeno un po' al presidente Usa, colpendo laddove raccoglie una buona parte dei voti: nelle aree rurali del Midwest e e fra gli agricoltori. La soia è fra i prodotti più colpiti, la Cina era la maggior importatrice di soia e petrolio Usa, ma adesso la musica è cambiata.
Così gli agricoltori guardano alla Casa Bianca che si è premurata di rassicurare la categoria sui danni recenti e quelli futuri possibili, annunciando che una parte dei 15 mld in più incassati dall'aumento dei dazi - da tener presente che i maggiori incassi sono quanto imprese e cittadini americani hanno speso in più - sarà redistribuito proprio fra la categoria penalizzata. Facile a dirsi, molto, ma molto più complesso farlo anche se per ora i senatori che rappresentano gli Stati più colpiti (Nord e Sud Dakota, l'Ohio, lo Iowa, ai primi posti per produzione agricola) appoggiano la politica dell'Amministrazione, avversata invece dai potentissimi fratelli Koch, destra dura e pura ma in linea con la tradizione repubblicana del libero mercato. Non va dimenticato che lo scorso anno Trump ha già assegnato circa 6 mld di sussidi e acquisti agevolati agli agricoltori per compensare le conseguenze della sfida alla Cina.
Nonostante queste promesse/rassicurazioni però la realtà rischia di essere diversa e far cambiare presto opinioni agli agricoltori. Come spiega Bloomberg
... " a marzo, un rapporto della First Midwest Bank di Chicago ha mostrato prestiti agricoli scaduti fino al 287% in più nel 2018 rispetto all'anno precedente. Nel frattempo, i casi gestiti dal servizio di mediazione dello Iowa che coinvolgevano gli agricoltori incapaci di effettuare pagamenti sono aumentati del 20%."
Sempre Bloomberg osserva che stanno aumentando le ristrutturazioni dei debiti mentre i fallimenti in sei Stati del Midwest sono aumentati del 30% nel 2018. Non solo perché l'agenzia sottolinea criticità anche nel reddito.
"Farmer incomes are down 11 percent since 2010 and expenses are up 31 percent, as crop prices have fallen and a trade war with China has cut demand. Meanwhile, Midwest floods have wiped out some growers, and left others with planting delays and drowned supplies." (Bloomberg)
Il problema è che siamo solo all'inizio, anche gli effetti delle scelte di fine anno  avanzano lentamente, però si cominciano a intravedere. E gli indizi arrivano dalle Borse, nervose e sempre più sospettose che non solo la crescita rallenti - dato scontato - ma che una possibile recessione non sia così lontana.  Anche perché la sola risposta cinese di questi giorni  finirà per interessare 11 mln di lavoratori americani e preoccupa non poco un grafico (qui sotto) di Goldman Sachs sugli impatti delle tariffe sui prezzi al consumo.


I danni come si vede ricadono sugli americani e non costringono la Cina a spendere mld per esportare, come ha affermato il presidente, in quanto i costi maggiori li sopportano - come detto prima - i consumatori. Dal canto suo anche Larry Kudlow, consigliere economico della Casa Bianca, ha rettificato spiegando che le ricadute per i cinesi si avranno sul Pil del Paese asiatico. Comunque basta il grafico Axios (qui sotto) dei settori industriali e degli Stati che più soffriranno della guerra commerciale per rendersi conto dell'impatto che in proiezione le scelte dell'Amministrazione avranno.



Approfondimenti

Gli agricoltori restano con Trump. Per ora

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