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La paura fa recessione


L'economia americana va bene, benissimo. Almeno così sembra o piuttosto così insiste la Casa Bianca con lo scopo, palese, di dimostrare come la riforma fiscale, che ha finito per premiare di più i redditi alti e solo in misura minore la classe media e quella operaia, sta funzionando.
Tuttavia chi guarda i dati macroeconomici non è così positivo e ottimista. Ad esempio la produzione manifatturiera è aumentata a giugno dell'0,4% però il dato complessivo del trimestre ha la freccia all'ingiù. La produzione è scesa dello 0,6% nei tre mesi  rispetto al primo trimestre, durante il quale anche la produzione è diminuita dello 0,5%.
Di conseguenza il portafoglio ordini in prospettiva potrebbe essere più debole. Nonostante una piccola ripresa del comparto a giugno...
"... negli ultimi due mesi si è registrata una delle peggiori crescite del portafoglio ordini in tutta l'economia manifatturiera dal terzo trimestre del 2009. Tale una lenta crescita delle vendite suggerisce che la crescita della produzione rimarrà probabilmente debole - nella migliore delle ipotesi - nel terzo trimestre" (IHSMarkit).

Le aziende inoltre, dopo l'impennata delle scorte ad inizio anno, ora sono passate a una revisione drastica per ridurne i volumi proprio a causa del ridimensionamento degli ordini.
Tutti gli analisti sono concorsi nell'interpretare questi segnali come la conseguenza delle guerre commerciali lanciate dall'amministrazione Trump, in particolare contro la Cina.

Le prospettive su scala mondiale non sono molto più incoraggianti. Il World Economic Outlook del Fmi di luglio è prudente, fin troppo e parla di cresciat globale contenuta: sullo sfondo a indurre alla massima prudenza i dazi reciproci fra Usa e Cina, l'avvio della Brexit alla fine di ottobre - evento ormai sempre più certo con l'avvento di Boris Johnson al 10 di Downing Street -, la tensione crescente del Golfo Persico e l'instabilità del resto del medio oriente con i capitali siriano e libico drammaticamente ancora aperti.
Dice il Fmi che ...
... "in questo contesto, la crescita globale è prevista al 3,2% nel 2019, raggiungendo il 3,5% nel 2020 (0,1 punti percentuali in meno rispetto alle proiezioni WEO di aprile per entrambi gli anni). Le uscite del PIL finora quest'anno, insieme all'inflazione generalmente attenuata, indicano un'attività globale più debole del previsto".
L'Fmi parla di ripresa globale del 2020 precaria e annota come investimenti nei beni di consumo durevoli nelle economie avanzate e nei Paesi emergenti, oltre che i consumi delle famiglie, viaggiano con il freno tirato. Sempre il Fondo ricorda che
... "la crescita del volume degli scambi è scesa a circa ½ percento su base annua nel primo trimestre del 2019 dopo essere scesa al di sotto del 2 percento nel quarto trimestre del 2018. Il rallentamento è stato particolarmente evidente nell'Asia emergente".
Sui Paesi emergenti - extra Cina che vede la sua crescita in costante, seppur minima, erosione - anche l'IIF vede un rallentamento significativo. (Leggi qui)

La Cina, come detto, frena anch'essa: la sua crescita, ora al 6,2% è la più bassa da tre decenni (ma potrebbe anche essere peggiori, si sa che gli esperti non nutrono molta fiducia nelle cifre esatte fornite da Pechino). Ci si aspettava, in Cina, un 6,3 e si partiva da un precedente del 6,4%. Questo dimostra che la strategia di riduzione delle tasse - 291 mld di dollari - non è servita a molto e ora ci si affida alle infrastrutture, come spiega il Wall Street Journal:
"Gli investimenti in ponti, strade e altre infrastrutture sono aumentati del 5,8% nella prima metà dell'anno rispetto al 5,6% nei primi cinque mesi. La produzione industriale è aumentata del 6,3% a giugno rispetto all'anno precedente, rispetto al 5,3% di maggio."
A giocare sulle incertezze e la volatila cinese  ancora i dazi e la guerra commerciale scatenata da Trump oltre all'estrema prudenza sulla possibilità che si riesca a risolvere la diatriba a un tavolo di trattativa. Tutto questo inoltre ha fatto lievitare il debito al 247%, cinque punti in più rispetto alla fine del 2018. Da aggiungere che a pesare sull'immediato futuro è la tendenza di molte multinazionali di spostare la produzione al di fuori della Cina. Lo rileva ancora il Wall Street Journal secondo cui...
..."Companies that make Crocs shoes, Yeti beer coolers, Roomba vacuums and GoProGPRO 1.16% cameras are producing goods in other countries to avoid U.S. tariffs of as much as 25% on some $250 billion of imports from China. Apple Inc. also is considering shifting final assembly of some of its devices out of China to avoid U.S. tariffs. Furniture-maker Lovesac Co. is making about 60% of its furniture in China, down from 75% at the start of the year. “We have been shifting production to Vietnam very aggressively,” said Shawn Nelson, chief executive of the Stamford, Conn., company. Mr. Nelson said he plans to have no production in China by the end of next year.".
L'economia del paese è cresciuta al ritmo più lento in quasi tre decenni, che mostra come il commercio di guerra USA-Cina e di una economica raffreddamento globale cominciano a farsi sentire.La crescita del secondo trimestre è stato solo 6,2 per cento, secondo i funzionari cinesi. Questo è il più basso è stato dal moderno tenuta dei registri è iniziata nel 1992, e alla fine di fondo delle previsioni del governo. (Può anche essere peggiore: economisti ampiamente dubbio la veridicità dei numeri di Pechino.)
L'economia del paese è cresciuta al ritmo più lento in quasi tre decenni, che mostra come il commercio di guerra USA-Cina e di una economica raffreddamento globale cominciano a farsi sentire.La crescita del secondo trimestre è stato solo 6,2 per cento, secondo i funzionari cinesi. Questo è il più basso è stato dal moderno tenuta dei registri è iniziata nel 1992, e alla fine di fondo delle previsioni del governo. (Può anche essere peggiore: economisti ampiamente dubbio la veridicità dei numeri di Pechino
Nel complesso, fra America, Cina e resto del mondo emergono indizi, dati settoriali e non solo, ma se messi uno accanto all'altro e collegati ad altri indicatori - ad esempio  le spedizioni di merci in tutti i modi di trasporto negli Usa (camion, ferroviario, aereo ) sono scese del 5,3% nel mese di giugno, il settimo mese consecutivo di calo anno su anno- da non dimenticare, sottolinea Axios, che due delle tre maggiori economie globali, quella cinese e della zona euro sono in contrazione mentre quella statunitense è di poco sopra lo zero - costruiscono un quadro di sentiment che volge verso una recessione più vicina.

Intanto nelle aziende americane si comincia a fare i conti con la "recessione dei profitti" e non è un buon segno o comunque mette di malumore i Ceo. Lo spiega l'Economist secondo il quale
si arriva, per le imprese, da anni mai così buoni post crisi del 2008-2009.
"L'America Inc ha registrato una corsa straordinariamente buona da quando il paese è rimbalzato dalla crisi finanziaria globale del 2008-09. L'economia è cresciuta, l'inflazione è stata bassa e i tassi di interesse hanno toccato il fondo. Nonostante la disoccupazione in bilico al di sotto del 5%, le pressioni salariali sono state modeste. Tutto sommato, i profitti aziendali annualizzati hanno superato i 2 miliardi di dollari nell'ultimo trimestre, quasi il doppio del livello di un decennio fa. La riforma fiscale del presidente Donald Trump ha ridotto l'aliquota dell'imposta sulle società dal 35% al ​​21%"

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