Il rapporto del super procuratore Robert S. Mueller III sul Russiagate è uscito, (leggi qui) seppur con molti, troppi, omissis e non nel modo completo e trasparente che l'opposizione dem vuole (per avere una base su quale costruire forse una richiesta di impeachment). Però ha cominciato a chiarire diversi aspetti che erano rimasti in sospeso - o non erano stati sottolineati
e resi noti nelle quattro pagine rese note all'inizio dal procuratore generale William Barr - e questa può essere una buona base di partenza, nonostante le classiche sparate del presidente sul fatto che non sono state provate collusioni con Mosca durante la campagna del 2016. Ecco qui sotto il contenuto del tweet in stile Game of Thrones;
Il presidente Usa per il momento esce dall'inchiesta - ma ce ne sono altre a suo carico e anche queste pericolose - ma la pubblicazione del rapporto ha un risvolto politico poco evidente a un primo esame. Ovvero che Mueller ha messo nero su bianco che la Russia voleva influenzare le elezioni americane.
Da questa convinzione, o meglio su quella che è una vera accusa, derivano almeno un paio di domande "pesanti": perché Putin voleva un Trump presidente? E, avendo questo ultimo vinto, Mosca può dire di aver ottenuto il suo obbiettivo?
Un paio di interrogativi che si pone, tra gli altri, Adam Taylor del Washington Post ai quali finisce per dare una risposta equanime: alla fine le rispettare scelte e attese hanno finito per rendere sia gliUsa che la Russia più deboli. Va specificato che gli uomini dello staff presidenziale e quelli delle prime nomine chiave - il primo e breve consigliere per la Sicurezza nazionale Michael Flynn - sono durati poco e sono stati ben individuati anche in fase d'indagine per riuscire alla fine a "dare una mano" al presidente e soprattutto a Mosca. Poi, in particolare, Putin non ha ottenuto il risultato principale a cui puntava: l'abolizione delle sanzioni post annessione della Crimea nel 2014, anzi dal 2016 sono aumentate, neppure la Ue le ha ritirate. Trump è riuscito solo a ritirarsi dal trattato sulle armi nucleari e, nonostante la sua retorica a favore dei metodi russi, alla fine non ha torto quando dice che nessuno è stato così duro con Mosca come la sua presidenza. Tuttavia Walter Dellinger e Samantha Goldstein sul WaPo puntano il dito contro il presidente accusandolo di non aver fatti nulla mentre gli Usa erano "sotto attacco" da parte russa (leggi qui).
I 5 misteri irrisolti dell'operazione russa
Una delle possibili spiegazioni è che negli Usa, ma non solo, non è facile passare dalla retorica elettorale su temi tanto complessi all'effettiva applicazione. Per uno come Trump, un tycoon distante anni luce dai riti del Congresso e dalle sottili reti della politica estera, il compito si è presentato anche più difficile. Complici gli errori di scelta ma anche i colpi di testa che hanno portato Trump a cacciare o far dimettere ben 48 persone tra i vertici dell'amministrazione (leggi qui lo studio del NyTimes). In sostanza Trump avrebbe voluto, ma non ha potuto. Pur controllando fino al novembre scorso entrambi i rami del Parlamento. Ma proprio il Parlamento ha di fatto reso vani i propositi della Casa Bianca, quel Parlamento dove il Gop non condivide - forte della sua tradizione - le "simpatie" di Trump per lo zar Putin. La Russia era e resta il principale avversario degli Usa su scala planetaria.
Un altro fattore, molto più sottile e comune al disegno sovranista che si va estendendo nel mondo occidentale, potrebbe essere alla base dell'incapacità del presidente Usa di cambiare il rapporto con Mosca. In piena coerenza con se stesso, Trump e la sua "America first" ha di fatto messo nel mirino e fermata la politica multilaterale del suo predecessore e dei Dem in genere (ma anche nel passato di quasi tutti i presidente Rep). In tal modo gli interessi americani sono entrati in contrapposizione con quelli russi su diversi scenari - quello mediorientale in primis, in Libia, in Venezuela, perfino con la Ue - e sul versante economico.
Il risultato finale è che Trump, nonostante le mancate prove, finisce indebolito proprio da questo piano russo di influenzare il voto a favore del miliardario. E Putin, dal canto suo, oltre a non avere raggiunto i traguardi pensati, ha visto scoprire il suo gioco. Che ben difficilmente, nonostante le società troll, riuscirà a replicare allo stesso modo e con lo stesso successo sebbene il Washington Post annota che i "prodotti tossici" introdotti nella campagna del 2016 possono essere usati o essere ancora validi anche l'anno prossimo.
e resi noti nelle quattro pagine rese note all'inizio dal procuratore generale William Barr - e questa può essere una buona base di partenza, nonostante le classiche sparate del presidente sul fatto che non sono state provate collusioni con Mosca durante la campagna del 2016. Ecco qui sotto il contenuto del tweet in stile Game of Thrones;
“No Collusion. No Obstruction. For the haters and the Radical Left Democrats — Game Over.”Tutto vero, Mueller è arrivato a un passo, ma non è riuscito a provare il coinvolgimento di Trump e del suo staff con la Russia per influenzare il risultato del voto anche e soprattutto con una sottile e ampia campagna di delegittimazione di Hillary Clinton. Tanti indizi, tantissimi, qualche prova, numerose testimonianze chiave ,a alla fine la pistola fumante non è stata trovata. E stato individuato, in sostanza, solo il fumo anche laddove il procuratore Barr ha individuato gli 11 punti del rapporto in cui Mueller ha avuto elementi per ipotizzare l'ostruzione alla giustizia, un reato pesante e molto più pericoloso per il presidente.
Il presidente Usa per il momento esce dall'inchiesta - ma ce ne sono altre a suo carico e anche queste pericolose - ma la pubblicazione del rapporto ha un risvolto politico poco evidente a un primo esame. Ovvero che Mueller ha messo nero su bianco che la Russia voleva influenzare le elezioni americane.
Da questa convinzione, o meglio su quella che è una vera accusa, derivano almeno un paio di domande "pesanti": perché Putin voleva un Trump presidente? E, avendo questo ultimo vinto, Mosca può dire di aver ottenuto il suo obbiettivo?
Un paio di interrogativi che si pone, tra gli altri, Adam Taylor del Washington Post ai quali finisce per dare una risposta equanime: alla fine le rispettare scelte e attese hanno finito per rendere sia gliUsa che la Russia più deboli. Va specificato che gli uomini dello staff presidenziale e quelli delle prime nomine chiave - il primo e breve consigliere per la Sicurezza nazionale Michael Flynn - sono durati poco e sono stati ben individuati anche in fase d'indagine per riuscire alla fine a "dare una mano" al presidente e soprattutto a Mosca. Poi, in particolare, Putin non ha ottenuto il risultato principale a cui puntava: l'abolizione delle sanzioni post annessione della Crimea nel 2014, anzi dal 2016 sono aumentate, neppure la Ue le ha ritirate. Trump è riuscito solo a ritirarsi dal trattato sulle armi nucleari e, nonostante la sua retorica a favore dei metodi russi, alla fine non ha torto quando dice che nessuno è stato così duro con Mosca come la sua presidenza. Tuttavia Walter Dellinger e Samantha Goldstein sul WaPo puntano il dito contro il presidente accusandolo di non aver fatti nulla mentre gli Usa erano "sotto attacco" da parte russa (leggi qui).
I 5 misteri irrisolti dell'operazione russa
Una delle possibili spiegazioni è che negli Usa, ma non solo, non è facile passare dalla retorica elettorale su temi tanto complessi all'effettiva applicazione. Per uno come Trump, un tycoon distante anni luce dai riti del Congresso e dalle sottili reti della politica estera, il compito si è presentato anche più difficile. Complici gli errori di scelta ma anche i colpi di testa che hanno portato Trump a cacciare o far dimettere ben 48 persone tra i vertici dell'amministrazione (leggi qui lo studio del NyTimes). In sostanza Trump avrebbe voluto, ma non ha potuto. Pur controllando fino al novembre scorso entrambi i rami del Parlamento. Ma proprio il Parlamento ha di fatto reso vani i propositi della Casa Bianca, quel Parlamento dove il Gop non condivide - forte della sua tradizione - le "simpatie" di Trump per lo zar Putin. La Russia era e resta il principale avversario degli Usa su scala planetaria.
Un altro fattore, molto più sottile e comune al disegno sovranista che si va estendendo nel mondo occidentale, potrebbe essere alla base dell'incapacità del presidente Usa di cambiare il rapporto con Mosca. In piena coerenza con se stesso, Trump e la sua "America first" ha di fatto messo nel mirino e fermata la politica multilaterale del suo predecessore e dei Dem in genere (ma anche nel passato di quasi tutti i presidente Rep). In tal modo gli interessi americani sono entrati in contrapposizione con quelli russi su diversi scenari - quello mediorientale in primis, in Libia, in Venezuela, perfino con la Ue - e sul versante economico.
Il risultato finale è che Trump, nonostante le mancate prove, finisce indebolito proprio da questo piano russo di influenzare il voto a favore del miliardario. E Putin, dal canto suo, oltre a non avere raggiunto i traguardi pensati, ha visto scoprire il suo gioco. Che ben difficilmente, nonostante le società troll, riuscirà a replicare allo stesso modo e con lo stesso successo sebbene il Washington Post annota che i "prodotti tossici" introdotti nella campagna del 2016 possono essere usati o essere ancora validi anche l'anno prossimo.
Commenti
Posta un commento