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Piccolo NON è bello. Al massimo è simpatico


Il solito Michele Boldrin, professore di economia alla Washington University in St. Louis e ricercatore alla Federal Reserve Bank di St. Louis, provoca spesso e volentieri, per sviluppare il dibattito e cercare di alzarlo rispetto alla dimensione provinciale italiana.
Così uscendone con un tweet in cui afferma senza mezzi termini che "la micro e piccola impresa italiana va decimata se si vuole che il paese riparta. Si torna a ricrescere solo e se le piccole e micro imprese vengono rimpiazzate da medie e grandi: più produttive, efficienti e innovative. E che pagano imposte!"
Ma gliene incolse e come ha spiegato in un video su Youtube nel mondo impazzito dei social prevale il risentimento personale, la presa in carico della critica a livello individuale, piuttosto che lo sforzo di comprensione di ciò che rappresenta il problema.
L'uscita di Boldrin, come al solito e come si compete al personaggio e all'uomo di scienza, non è buttata là, ma poggia su dati, dati precisi e provati non certo fake.


lo studio Ocse è fin troppo eloquente: la la produttività delle aziende italiane è concorrenziale, anzi addirittura si piazza al primo posto fra Gran Bretagna, Spagna, Germania e Francia laddove queste stesse aziende sono di dimensioni maggiori, ovvero impiegano fra i 50 e i 250 dipendenti o vanno addirittura oltre. Mentre al contrario siamo indietro, al pari della Spagna nella aziende che impiegano fino a nove dipendenti.
Da qui la provocazione di Boldrin che spiega come il fattore dimensionale non sia affatto secondario. E che comunque ciò non vuol dire che bisogna cancellare la micro impresa, ma solo riportarla nell'alveo più ridotto su scala nazionale. Con l'avvertenza che comunque, se il dato è pur giusto, ciò non significa che non esistano imprese di piccole dimensioni dall'alta capacità produttiva. E che, al contrario, non vi siano aziende con oltre 250 dipendenti, dalla produttività sotto i parametri degli altri paesi avanzati della Ue.
Il compendio degli indicatori di produttività elaborato dall'Ocse certifica che l'Italia è uscita ben peggio degli altri dalla crisi: "Tra il 2010 e il 2016 la produttività, intesa come Pil per ora lavorata, è aumentata solo dello 0,14% medio annuo, il dato peggiore dopo quello della Grecia (-1,09%)" ha segnalato il Sole 24 Ore il quale aggiunge che
 "(...) tra il 2001 e il 2007 la Penisola è ultima in assoluto con una flessione dello 0,01% annuo, con l'unico segno meno, per quanto contenuto, tra i circa 40 Paesi presi in considerazione dal rapporto. Nell'insieme, una situazione di produttività quasi immobile. Tra il 2010 e il 2016 la palma per la crescita della produttività nell’area Ocse va all'Irlanda con +6,12%, seguita dal Costa Rica (+3,07%) e dalla Turchia (+3,06%). La Germania segna +1,04% (ma nel 2001-2007 era +1,33%), la Francia +0,84% (dopo +1,21%), la Gran Bretagna +0,23% (da 1,98%), il Giappone +0,85% ( da +1,36%)e gli Usa +0,36% (da +2,03%). La crescita media della produttività per l'intera Ocse è passata dal +1,77% del 2001-2007 allo 0,80% del 2010-2016 e per l'area euro dall'1,01% allo 0,95%".
Non è solo un problema di profitti aziendali, infatti aumento della produttività, come ricorda la stessa Ocse, non vuol dire solo più lavoro, ma lavorare in modo più intelligente combinandomi fattori intellettuali, di ricerca e creatività con il miglioramento dell'aspetto organizzativo. Il che comporta anche un riallineamento verso l'alto dei salari riducendo quindi le disparità.
Ma tutto questo è possibile se la dimensione è mini, ridotta anche pur in presenza di specializzazioni d produzioni di nicchia? Non sempre, non troppo, stando sempre ai numeri. Per questo Boldrin parla di "decimazione", laddove il processo di selezione che viene dal basso, dal mercato -quante volte abbiamo sentito le organizzazioni imprenditoriali e di rappresentanza parlare di morte delle aziende, di sparizione di interi comparti - è già nei fatti e spesso è anche selvaggio.
Perché allora non impostare un piano a livello centrale per favorire i processi aggregativi, superando l'individualismo italico e il fattore provincialismo che porta gli imprenditori - anche per oggettiva mancanza di conoscenza di ruoli, dinamiche e interessi nazionali - a sfidare i colossi internazionali evidentemente sforniti delle migliori armi.
E quanto sia importante a livello di produttività l'innovazione, basti guardare al 56% di investimenti in R&D (Research & Development) dell'Irlanda sul totale degli investimenti neo 2016. E il 39% contro il 7,33% italiano. Oltretutto questo andamento si riflette sui salari e questi sono ancora più compressi quando si osserva che il maggior incremento occupazionale è in settori dove il fattore produttivo è inferiore alla media. Riporta il Sole 24 Ore :
"(...) il rapporto sottolinea che nelle principali economie Ocse tra il 2010 e il 2016 l'aumento dei posti di lavoro in attività con una produttività inferiore alla media è stata da 2 a 4 volte più alta rispetto a quella in comparti con produttività superiore alla media".
In Italia il maggior incremento si registra nella ristorazione e servizi, attività domestiche e di assistenza e alloggio, dove però, per le loro caratteristiche, i salari sono più bassi senza contare che

"(...) in Italia tra il 2010 e il 2016 i compensi reali orari sono diminuiti al tasso medio annuo dello 0,38% a fronte di un valore aggiunto pari a +0,21%. Si tratta del quinto peggiore andamento sui 34 Paesi Ocse e segue l'aumento dello 0,75% tra il 2001 e il 2007."

Siamo ancora disposti a sostenere che "piccolo è bello" e Boldrin sbaglia?

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