L'aspetto più allucinante - anche di molte dichiarazioni e intenti politici - nel crollo disastroso del ponte Morandi a Genova sono i tentativi di spiegazione e giustificazione scientifica di Autostrade per l'Italia. Sul piano della comunicazione avrebbero fatto mille volte meglio a dire semplicemente: "Aspettiamo l'inchiesta e le verifiche". Invece no, leggete qui un comunicato paradossale e incredibile, tanto più che non arriva da una discussione al bar ma da una grande e, finora, stimata azienda nazionale:
Il problema è uno e uno solo: o non è vero tutto questo o Autostrade si è affidata a tecniche, persone e società inaffidabili.
Ciò che sfugge all'ineffabile ufficio stampa di Autostrade è che non si è staccato un pezzo di cemento armato, non è volato giù qualche calcinaccio, non si è staccato uno dei cavo degli stralli. E' venuto giù - su case, ferrovia e strade - solo un pezzo di 400 metri di cavalcavia, due piloni e decine di auto con persone annesse!
Adesso la società, punita duramente in Borsa, cerca di limitare i danni ma pretende in caso di revoca della concessione (la vedo dura e strada tutta da valutare per il governo) "il valore residuo" pur con le attenuanti di eventuali "penali" .
Evidentemente non ci siamo: da un lato il governo promette il pugno di ferro e controlli a tappeto laddove finora e forse ancora non ha strutture, mezzi e soprattutto legislazioni adatti ad attuare in tempi stretti questa pia intenzione. Senza contare il ginepraio di competenze, la mancanza di un qualsiasi catasto strade - pur previsto - e in particolare di viadotti e cavalcavia. Dall'altro, sempre il governo e la politica in generale (l'opposizione stia, come si dice in Lombardia, "schiscia", voli basso che quelli di oggi sono i frutti dell'opera di ieri, i grillini ne sono un po' esenti essendo gli ultimi arrivati, ma la Lega abbassi la voce perché è stata tante volte al governo dal '94 e da decenni amministra Lombardia e Veneto non certo esenti da viadotti crollati o pericolosi) farebbero bene a rendere pubblici i contratti con i giganti delle concessioni, finora tenuti segreti perfino ai parlamentari - perché considerati atti fra Spa, una versione, tutta italiana, della trasparenza - e constatare quanto questi contratti siano stati fatti solo a favore del privato, con pochi poteri di controlli e garanzie per la parte pubblica, oltretutto spesso chiamata a onerosi riscatti finali.
In queste ore si parla spesso a sproposito di Gronda sì o Gronda no (fra l'altro non c'è neppure un progetto definitivo) di investimenti nelle infrastrutture occasione di "rilancio dell'Italia" e via dicendo con le amenità. Ma la realtà che abbiamo davanti agli occhi anche in questi giorni di dolore e rabbia, è trascurata in questi pontificali senza arte né parte: gli esperti parlano di 60% di ponti - a questo punto Cartoponti - pericolosi o a rischio, 5 sono già caduti in pochi anni,
la stragrande maggioranza è degli anni 50-60 e 70, quindi molti sono a fine vita o quasi, le spese di manutenzione _ quando è eseguita - sono immense e mancano dati precisi anche di questo (sarebbe interessante il rapporto iniziale, quanta e che costo della manutenzione negli anni, e stabilire il punto di convenienza, capire fin quando serve riparare e come e quando invece è meglio abbattere e rifare l'opera), ma soprattutto manca un vero piano nazionale delle infrastrutture necessarie, a cui andrebbe abbinato un progetto sul modello di sviluppo infrastrutturale necessario nel prossimo futuro, diciamo 30 anni almeno: ovvero se vale la pena di insistere su strade e autostrade, quali sono realmente necessarie (pubbliche o private non importa perché è l'impatto e i costi sul territorio che vanno valutati) o puntare sulle ferrovie, sulla navigazione, anche quella fluviale o sui droni, piuttosto che sulle "autostrade digitali", su un futuro verde o "carbonifero" o nucleare, o chissà cos'altro. Insomma su cosa dovrebbe scommettere in termini di crescita l'Italia di domani e quindi ricavare un piano infrastrutturale adeguato e conseguente verso il quale far convergere le risorse e guidare l'investimento anche privato. Ma è chiaro che è lo Stato, i governi, a decidere come e dove si va e con che mezzi. Altrimenti si fa come fino ad ora: strade doppie o triple, sovrapponibili e inutili, costose, senza analisi costi-benefici affidata a organismi terzi, lontani da camarille politiche e corruttive, ferrovie che badano soprattutto alla conveniente alta velocità e dimentica i trasporti locali, soldi drenati a settori più trainanti e futuristi per essere gettati in progetti faraonici, anti-economici o nelle tasche di gruppi di interesse e potere, magari finanziatori occulti della politica.
I fattori competenza, corruzione, utilità, controllo sulle opere infrastrutturali non sono secondari. Perché gli esempi scandalosi non sono limitati. Un esempio: il Viadotto dei Lavatoi di Como
, neppure un chilometro di lunghezza, costruito nel 2003, costo 6 milioni di euro, chiuso al traffico pesante lo scorso anno, per il cedimento-spostamento di giunti di sostegno accertato dopo una perizia avviata in gran fretta lo scorso anno. Allucinanti alcuni passaggi della perizia tenendo presente che si parla di un'opera di soli 14 anni e che gli appoggi fissi del ponte erano risultati già danneggiati nel 2009, quando il Comune dovette intervenire con un primo intervento tampone:
Lasciando da parte tratti pericolosi o meno, come il Viadotto dei Lavatoi anche le opere recenti non danno grosse soddisfazioni e tradiscono quantomeno se non l'inutilità, la grande discrepanza tra le attese e l'effettivo impatto sul piano viabilistico. Quindi la loro necessità. Tanto per restare nel Nord produttivo basti parlare di Brebemi,
"Il viadotto Polcevera, crollato a Genova, "era monitorato dalle strutture tecniche della Direzione di Tronco di Genova con cadenza trimestrale secondo le prescrizioni di legge e con verifiche aggiuntive realizzate mediante apparecchiature altamente specialistiche.Controlli trimestrali, strumentazioni specialistiche, società e istituti leader nel mondo nelle ispezioni: il tutto ha dato risposte rassicuranti! Per fortuna!
In relazione alle notizie diffuse dalla stampa sulle attività di prevenzione messe in atto sul viadotto Polcevera Autostrade per l'Italia precisa che l'infrastruttura era monitorata dalle strutture tecniche della Direzione di Tronco di Genova con cadenza trimestrale secondo le prescrizioni di legge e con verifiche aggiuntive realizzate mediante apparecchiature altamente specialistiche. Inoltre le strutture tecniche preposte si sono avvalse, per valutare lo stato di manutenzione del viadotto e l'efficacia dei sistemi di controllo adottati, di società ed istituti leader al mondo in testing ed ispezioni sulla base delle migliori best practices internazionali".
"Gli esiti delle attività di monitoraggio e delle attività di verifica svolte dagli autorevoli soggetti esterni hanno sempre fornito alle strutture tecniche della società adeguate rassicurazioni sullo stato dell'infrastruttura. Questi stessi esiti sono stati utilizzati come base per la progettazione degli interventi di manutenzione sul viadotto approvati dal Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti secondo le norme di legge e le previsioni della Convenzione. (...) ".
Il problema è uno e uno solo: o non è vero tutto questo o Autostrade si è affidata a tecniche, persone e società inaffidabili.
Ciò che sfugge all'ineffabile ufficio stampa di Autostrade è che non si è staccato un pezzo di cemento armato, non è volato giù qualche calcinaccio, non si è staccato uno dei cavo degli stralli. E' venuto giù - su case, ferrovia e strade - solo un pezzo di 400 metri di cavalcavia, due piloni e decine di auto con persone annesse!
Adesso la società, punita duramente in Borsa, cerca di limitare i danni ma pretende in caso di revoca della concessione (la vedo dura e strada tutta da valutare per il governo) "il valore residuo" pur con le attenuanti di eventuali "penali" .
Evidentemente non ci siamo: da un lato il governo promette il pugno di ferro e controlli a tappeto laddove finora e forse ancora non ha strutture, mezzi e soprattutto legislazioni adatti ad attuare in tempi stretti questa pia intenzione. Senza contare il ginepraio di competenze, la mancanza di un qualsiasi catasto strade - pur previsto - e in particolare di viadotti e cavalcavia. Dall'altro, sempre il governo e la politica in generale (l'opposizione stia, come si dice in Lombardia, "schiscia", voli basso che quelli di oggi sono i frutti dell'opera di ieri, i grillini ne sono un po' esenti essendo gli ultimi arrivati, ma la Lega abbassi la voce perché è stata tante volte al governo dal '94 e da decenni amministra Lombardia e Veneto non certo esenti da viadotti crollati o pericolosi) farebbero bene a rendere pubblici i contratti con i giganti delle concessioni, finora tenuti segreti perfino ai parlamentari - perché considerati atti fra Spa, una versione, tutta italiana, della trasparenza - e constatare quanto questi contratti siano stati fatti solo a favore del privato, con pochi poteri di controlli e garanzie per la parte pubblica, oltretutto spesso chiamata a onerosi riscatti finali.
In queste ore si parla spesso a sproposito di Gronda sì o Gronda no (fra l'altro non c'è neppure un progetto definitivo) di investimenti nelle infrastrutture occasione di "rilancio dell'Italia" e via dicendo con le amenità. Ma la realtà che abbiamo davanti agli occhi anche in questi giorni di dolore e rabbia, è trascurata in questi pontificali senza arte né parte: gli esperti parlano di 60% di ponti - a questo punto Cartoponti - pericolosi o a rischio, 5 sono già caduti in pochi anni,
la stragrande maggioranza è degli anni 50-60 e 70, quindi molti sono a fine vita o quasi, le spese di manutenzione _ quando è eseguita - sono immense e mancano dati precisi anche di questo (sarebbe interessante il rapporto iniziale, quanta e che costo della manutenzione negli anni, e stabilire il punto di convenienza, capire fin quando serve riparare e come e quando invece è meglio abbattere e rifare l'opera), ma soprattutto manca un vero piano nazionale delle infrastrutture necessarie, a cui andrebbe abbinato un progetto sul modello di sviluppo infrastrutturale necessario nel prossimo futuro, diciamo 30 anni almeno: ovvero se vale la pena di insistere su strade e autostrade, quali sono realmente necessarie (pubbliche o private non importa perché è l'impatto e i costi sul territorio che vanno valutati) o puntare sulle ferrovie, sulla navigazione, anche quella fluviale o sui droni, piuttosto che sulle "autostrade digitali", su un futuro verde o "carbonifero" o nucleare, o chissà cos'altro. Insomma su cosa dovrebbe scommettere in termini di crescita l'Italia di domani e quindi ricavare un piano infrastrutturale adeguato e conseguente verso il quale far convergere le risorse e guidare l'investimento anche privato. Ma è chiaro che è lo Stato, i governi, a decidere come e dove si va e con che mezzi. Altrimenti si fa come fino ad ora: strade doppie o triple, sovrapponibili e inutili, costose, senza analisi costi-benefici affidata a organismi terzi, lontani da camarille politiche e corruttive, ferrovie che badano soprattutto alla conveniente alta velocità e dimentica i trasporti locali, soldi drenati a settori più trainanti e futuristi per essere gettati in progetti faraonici, anti-economici o nelle tasche di gruppi di interesse e potere, magari finanziatori occulti della politica.
I fattori competenza, corruzione, utilità, controllo sulle opere infrastrutturali non sono secondari. Perché gli esempi scandalosi non sono limitati. Un esempio: il Viadotto dei Lavatoi di Como
, neppure un chilometro di lunghezza, costruito nel 2003, costo 6 milioni di euro, chiuso al traffico pesante lo scorso anno, per il cedimento-spostamento di giunti di sostegno accertato dopo una perizia avviata in gran fretta lo scorso anno. Allucinanti alcuni passaggi della perizia tenendo presente che si parla di un'opera di soli 14 anni e che gli appoggi fissi del ponte erano risultati già danneggiati nel 2009, quando il Comune dovette intervenire con un primo intervento tampone:
"... questi stessi appoggi non riuscivano più a garantire la loro funzione". Erano stati addirittura «parzialmente espulsi dalla loro sede», che «in alcuni casi di trovavano in posizione limite della loro escursione ammissibile» e che, sempre «in alcuni casi» gli appoggi risultavano addirittura «oltre il fine corsa». «Con l’avvicinarsi delle basse temperature della ormai prossima stagione invernale la struttura potrebbe non avere altre risorse per far fronte ad ulteriori accorciamenti». "Eventuali conseguenze del cedimento degli appoggi potrebbero coinvolgere la sottostante linea ferroviaria internazionale, le abitazioni e le altre attività adiacenti al viadotto nonché le sottostanti pubbliche vie".Adesso si annuncia un anno di chiusura totale del viadotto, un milione di spesa, e una causa infinita e dagli esiti incerti.
Lasciando da parte tratti pericolosi o meno, come il Viadotto dei Lavatoi anche le opere recenti non danno grosse soddisfazioni e tradiscono quantomeno se non l'inutilità, la grande discrepanza tra le attese e l'effettivo impatto sul piano viabilistico. Quindi la loro necessità. Tanto per restare nel Nord produttivo basti parlare di Brebemi,
"Sarebbe dovuta costare 800 milioni di euro, ma le spese sono lievitate a 2,4 miliardi (oneri finanziari inclusi). Cassa depositi e prestiti, la banca pubblica che reinveste i risparmi postali, ha versato 820 milioni, 700 milioni ha prestato la Banca europea degli investimenti attraverso un pool di istituti di crediti e per ripianare i debiti del gruppo, lo Stato ha garantito altri 300 milioni da quest’anno al 2031". (Wired)Pedemontana Lombarda (1,2 mld per tre tronconi realizzati, mancano altri 3,3 mld per l'intero percorso da Varese a Bergamo e non ci sono ancora i progetti) , Teem (costo 1,8 mld, nel 2016 perdita di 21,3 mln), Pedemontana Veneta (finora costata 2 mld, ora nuovo finanziamento pubblico di 300 mln con la copertura del contribuente che arriva al 40% dell'investimento, troppo, dice Anac. E traffico ben al di sotto dei 30 mila veicoli al giorno previsti) , Asti-Cuneo. Leggete qui i conti che non vanno e i volumi di traffico che in qualche caso sono inferiori anche del 70% al previsto. Qui non cadono i ponti, bensì i conti. E con essi l'Italia e la nostra credibilità.
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