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Il prezzo della dignità


Quanto costa la dignità, quanto costa piuttosto la precarietà: ma non alle aziende o allo Stato - questi sono costi ben definiti e comunque ben trasmessi da ognuno degli attori sul piano della comunicazione di massa - ma a quanto costa in termini sociali, psicologici e personali, quanto pesa avere un lavoro e non averlo al tempo stesso, quanto impatto ha il  tremare ogni giorno quando si va al lavoro, quanto effetto hanno i ricatti diretti o meno, le minacce, lo sfruttamento. Questo è un calcolo che non entra mai nel dibattito sul lavoro, non lo è stato quando si è trattato di approvare il Jobs Act - e questa è la responsabilità è più pesante per la cosiddetta sinistra, il Pd -  dove si parla di contratti a tutele crescenti laddove di tutele ve se erano ben poche ma soprattutto erano calanti, non solo rispetto al passato, bensì in assoluto. E non compare neppure multo ora con il decreto dignità, così come è stato venduto dai pentastellati e che deve ancora vedere la luce nella sua stesura definitiva.
I calcoli sono molti e anche complessi attorno a questo provvedimento. Ma nel dibattito i fattori personali, psicologici, sociali, i costi in questo senso, non compaiono, non si è mai discusso attorno alla vita degli individui, giovani o meno. Le cifre nude sono analizzate solo nel loro + o nel loro -.
In particolare la battaglia, anche di queste ultime ore, è attorno alla "magica" cifra di 8 mila contratti, 8 mila assunti all'anno. In meno per l'Inps, in meno per le opposizioni, un dato contestato invece dal ministro Di Maio.
Una cifra che colpisce a prima vista ma sulla quale è opportuno fare chiarezza. Ad esempio cosa significa in particolare l'introduzione della causale dal tredicesimo mese; riduzione del numero di proroghe ammissibili; durata massima limitata a 24 mesi. Compito tutt'altro che facile come sottolinea Bruno Anastasia su lavoce.info laddove scrive: 
"... oggetto delle modifiche introdotte dal decreto non sono le popolazioni usualmente considerate dall’informazione statistica corrente – lavoratori oppure assunzioni (e quindi rapporti di lavoro) – ma eventi la cui esatta individuazione è ben più complessa: rinnovi, a distanza temporale anche rilevante (di anni), di rapporti di lavoro con il medesimo contratto tra il medesimo lavoratore con la medesima impresa; superamento delle soglie di 12 e di 24 mesi di durata da parte di una “catena” di contratti; proroghe distinte per il loro numero d’ordine all’interno di ciascun singolo rapporto di lavoro. In aggiunta occorre considerare le numerose eccezioni, anche pesanti – pubblica amministrazione, stagionalità, agricoltura – e anch’esse con specifiche complessità di individuazione (non tutto il lavoro nel settore “alberghi e ristorazione” è stagionale e così via)."
Le variabili sono molte quindi, ma anche prendendo - secondo un metodo empirico e non statistico ma interessante comunque - i dati grezzi, vediamo che 8 mila assunzioni a termine in meno in un anno sono circa l'1,5% della massa. Infatti nel 2017 gli assunti a termine sono stati 4.811.984 (ma compresi stagionali e pubblica amministrazione) e le cessazioni 3.981.968 e 297.721 trasformazioni da tempo determinato a tempo indeterminato. Il saldo complessivo - tolti quindi i quasi 300 mila passati a termo indeterminato quindi comunque, Jobs Act permettendo, più "stabili" - è di 532 mila. Su un monte del genere si può calcolare l'impatto di 8 mila assunzioni in meno all'anno, secondo le stime dell'Inps. Non bene, ovviamente, ma anche un dato residuale e minoritario e non cambia molto anche secondo l'analisi dell'Inps.
Un calcolo dell'Osservatorio Veneto Lavoro parla di circa 80 mila potenziali interessati dal decreto nella regione, ma precisa che il 74% dei contratti a termine non è interessato dal provvedimento e sugli 80 mila bisogna fare dei distinguo:
Il decreto non avrebbe influito invece sul 74% del lavoro a tempo determinato o in somministrazione registrato in Veneto, perché di durata inferiore a un anno, riguardante operai agricoli o Pubblica Amministrazione, o relativo al lavoro stagionale, che sembrerebbe essere escluso dalle modifiche introdotte.
In termini di rapporti di lavoro, quelli interessati dal decreto sarebbero stati circa 80 mila, di cui 25 mila sarebbero completamente venuti meno perché di durata superiore ai 24 mesi e 55 mila dal destino incerto perché di durata compresa tra uno e due anni
".
Sempre lavoce.info, prendendo spunto dallo studio dell'Inps arriva a conclusioni non molto difformi e parla, con Francesco Daveri di 
"... Una perdita risibile sul totale degli occupati anche solo a tempo determinato" (http://www.lavoce.info/archives/54208/gli-effetti-negativi-del-decreto-dignita-sul-lavoro-il-se-e-il-quanto/)
e si preferisce sottolineare le ricadute finanziarie per lo Stato e le sue casse, con questa tabella:


la quale , tuttavia, anche su questo versante, prospetta la situazione peggiore  solo fino al 2020 con una stabilizzazione a livelli bassissimi negli anni successivi.

Tutto bene, dunque, con la sola eccezione dell'industria che vede un po' limitate le sue politiche di mani libere continuando a "scaricare" gli impatti sociali, umani, psicologici sullo Stato e sulla comunità?
No, non va bene, perché anche se da un lato può essere interessante cominciare a porre l'accento su una visione non solo imprenditoriale ed economica della questione, ma assumendo anche il punto di vista di chi vive la precarietà sulla propria pelle, sul singolo o sulle categorie dunque, dall'altro l'operazione di Di Maio tradisce la sua provenienza: colto il problema, intuite le cause, le scelte conseguenti si muovono su un piano d'improvvisazione, di mancata analisi del mondo del lavoro, delle dinamiche, dei rapporti di forza, del contesto anche internazionale, dei trend in atto e delle visioni socio-economiche che occorrerebbe assumere per disegnare - e non farsi disegnare addosso dal solo mondo delle imprese  e da quello ben più infido e pericoloso della finanza - il mondo del lavoro di domani.
In questa chiave interessante può essere il quadro di suggerimenti "radicali" degli avvocati del lavoro di Comma 22 e di altri specialisti, giuslavoristi ed economisti. Ecco il quadro delle proposte "più dignitose". E altre idee potrebbero farsi avanti.

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