Sarà un autunno caldo. molto caldo. Troppo caldo. E non sul fronte sindacale, purtroppo visto che le condizioni dei lavoratori non solo non sono migliorate in questi anni ma tendono sempre al peggio, sui salari, sui livelli occupazionali e ancora più sul versante dei diritti e delle condizioni di lavoro.
No, sarà un autunno caldissimo
per il governo alle prese con un referendum alla "va o la spacca", un referendum su una confusa, affastellata e contraddittoria riforma costituzionale che l'esecutivo - o meglio il suo premier - ha voluto legare ai destini stessi del paese oltre ai suoi (di Renzi). L'offensiva della paura è cominciata e ciò non depone a favore di ciò che potrà accadere dentro le urne: il Wall Street Journal, conservatore e custode dell'establishment finanziario e delle oligarchie economiche, ha cominciato ad avvertire che se Renzi perdesse la sommessa e soprattutto se, in conseguenza di ciò, i 5 Stelle dovessero ascendere a palazzo Chigi, sarebbe la fine o quasi per l'Italia. Da così a peggio, insomma. E lo stesso diranno nelle prossime settimane gran parte della stampa e della tv italiane. Tutti o quasi in cattiva fede perché se si accusa il fronte del no di avere un obbiettivo politico da raggiungere sfruttando la riforma costituzionale ( che così resterebbe sullo sfondo), il fronte del sì, mobilitandosi nel modo che vediamo, fa altrettanto. In Italia ogni voto, politico o referendario, segna sempre in passaggio verso un dramma: una volta etano i comunisti e i cosacchi a san Pietro, poi ci fu l'emergenza terrorismo, poi tornò la paura dei "rossi" (la sinistra liberticida sempre evocata da Berlusconi). E oggi siamo ai 5Stelle. Mamma lì grillini?
Torniamo all'autunno caldissimo. Per il referendum, ma ancora di più per l'economia. Inutile far finta di niente, non ci riesce neppure Renzi. Le cose non vanno, siamo di nuovo in stagnazione, non si cresce: l'Italia nel secondo trimestre è ferma, Pil nullo (in due anni abbiamo perso un paio di punti rispetto all'Europa), se si continua così e con la spinta decisiva del +0,3% del primo trimestre, a fine anno ci si fermerà allo 0,6, -0,2 addirittura sul 2015. Il governo adesso spera che possa essere ancora un +0,8, non certo il +1,2 delle attese.
E non serve consolarsi con il resto dell'Eurozona che cresce poco, perché è comunque più dell'Italia. "C'è stata la Brexit, il terrorismo..." invocano i difensori di Palazzo Chigi. Peccato che il voto britannico sia stato il 23 e in quei sette giorni il nostro Pil si dovrebbe essere fermato, solo il nostro peraltro perché gli altri sono più mossi. E la Brexit c'è stata per tutti (ma l'Itasia non doveva essere meno esposta, dixit sempre l'esecutivo?) e pure il terrorismo che peraltro ha colpito a fondo altrove, nei Paesi dove un piccola crescita è stata registrata comunque. Le aspettative dunque non c'azzeccano molto, vediamo qui sotto quelle Ue più prudenti rispetto alle nostre
Il risultato è che la bilancia 2017 dovrà reperire 20-25 miliardi tra i 15,6 necessari per bloccare gli aumenti automatici dell'Iva e la decina (fra lo 0,4 e lo 0,6%) del Pil. Uno scherzo, naturalmente, che Renzi e Padoan cercano di mascherare facendo ancora un volta la faccia feroce con Bruxelles e gli occhi dolci a Merlkel e Hollande e sollecitando nuova flessibilità (oltre a quella già raggiunta che ha portato, grazie al fattore migranti, all'1,8% rispetto all'1,4 indicato): non sarà semplice ottenere di volare al 2,2%, altri sei miliardi o poco più. L'Italia però i suoi compiti a casa li ha fatti poco e male, con buona parte di un'espressione disgraziata e offensiva per un Paese: non ha ne ridotto ne riqualificato la spesa pubblica.
Il punto è sempre quello: la natura di Renzi e del suo governo, un esecutivo preda e ostaggio delle oligarchie finanziarie ed industriali e delle lobby a queste connesse. L'unica riforma "coraggiosa" e di rottura il governo l'ha fatta nei confronti dei lavoratori e dei sindacati, obbiettivamente i corpi sociali oggi più deboli e indeboliti. Ma anche in questo caso si tratta di riforme nate dalla spinta, più ideologica che effettiva (basti l'articolo 18 che per ammissione anche della parte confindustriale, non ha mai riguardato che qualche migliaio di casi all'anno), delle suddette oligarchie.Ma sulle liberalizzazioni, sull'apertura della concorrenza, su un'efficace riforma della giustizia civile e penale - anche qui con abbattimento delle barriere corporative - o su quella della pubblica amministrazione, poco o nulla si vede e si vedrà. Perché, soprattutto nell'assetto pubblico, si è voluto puntare in particolare sulla scarsa "flessibilità-mobilità" del personale piuttosto che sull'efficientamento e sulla razionalizzazione della medesima struttura, processi che avrebbero messo in forse posizioni apicali di reddito consolidate e stratificate. Se servisse un esempio, le famose "lenzuolate" del "conservatore" Bersani avrebbero avuto, se portate a termine, un valore di modernizzazione della società cento volte le riforme renziane.
Così i risultati sono quelli che abbiamo sotto gli occhi: occupazione già in rallentamento e che comunque deve i suoi numeri più alla trasformazione dei contratti (grazie a 10 miliardi di sgravi, cosa si sarebbe potuto fare di altro e più efficace con questi soldi?) che non alla loro germinazione originale. E nel 2016-primo trimestre i nuovi contratti a tempo indeterminato - qui i dati del Sole 24 ore - sono il 77% in meno di quelli del 2015 (gli incentivi sono scesi al 40%) e il risultato è peggiore anche del 2014 Per il resto i dati Istat, mensili, segnano qualche lieve incremento (in gran parte, va sottolineato, fra gli indipendenti più che fra i dipendenti), molto ma molto meno di quanto sarebbe necessario per una vera svolta. Da tenere presente che l'Istat parla di "occupati" e l'aumento non significa per forza nuove assunzioni o nuovo contatto, quanto un aumento percentuale o assoluto in rapporto ai movimenti in altre voci.
Ecco il quadro di fine anno che ci aspetta e aspetta il varo della legge di stabilità con Renzi che torna a parlare di tasse da tagliare, alimenta illusioni su pensioni e sostegni vari un po' a tutti e, come per il bail in visto in precedenza, cerca di accreditarsi una possibilità con Bruxelles (e Berlino) pur sapendo benissimo di aver già scontato una grossa flessibilità e di rimandare ancora le prescrizioni europee.
Certo è che in queste condizioni è complicato vedere con ottimismo la fine del 2016 e soprattutto il 2017.
No, sarà un autunno caldissimo
per il governo alle prese con un referendum alla "va o la spacca", un referendum su una confusa, affastellata e contraddittoria riforma costituzionale che l'esecutivo - o meglio il suo premier - ha voluto legare ai destini stessi del paese oltre ai suoi (di Renzi). L'offensiva della paura è cominciata e ciò non depone a favore di ciò che potrà accadere dentro le urne: il Wall Street Journal, conservatore e custode dell'establishment finanziario e delle oligarchie economiche, ha cominciato ad avvertire che se Renzi perdesse la sommessa e soprattutto se, in conseguenza di ciò, i 5 Stelle dovessero ascendere a palazzo Chigi, sarebbe la fine o quasi per l'Italia. Da così a peggio, insomma. E lo stesso diranno nelle prossime settimane gran parte della stampa e della tv italiane. Tutti o quasi in cattiva fede perché se si accusa il fronte del no di avere un obbiettivo politico da raggiungere sfruttando la riforma costituzionale ( che così resterebbe sullo sfondo), il fronte del sì, mobilitandosi nel modo che vediamo, fa altrettanto. In Italia ogni voto, politico o referendario, segna sempre in passaggio verso un dramma: una volta etano i comunisti e i cosacchi a san Pietro, poi ci fu l'emergenza terrorismo, poi tornò la paura dei "rossi" (la sinistra liberticida sempre evocata da Berlusconi). E oggi siamo ai 5Stelle. Mamma lì grillini?
Torniamo all'autunno caldissimo. Per il referendum, ma ancora di più per l'economia. Inutile far finta di niente, non ci riesce neppure Renzi. Le cose non vanno, siamo di nuovo in stagnazione, non si cresce: l'Italia nel secondo trimestre è ferma, Pil nullo (in due anni abbiamo perso un paio di punti rispetto all'Europa), se si continua così e con la spinta decisiva del +0,3% del primo trimestre, a fine anno ci si fermerà allo 0,6, -0,2 addirittura sul 2015. Il governo adesso spera che possa essere ancora un +0,8, non certo il +1,2 delle attese.
E non serve consolarsi con il resto dell'Eurozona che cresce poco, perché è comunque più dell'Italia. "C'è stata la Brexit, il terrorismo..." invocano i difensori di Palazzo Chigi. Peccato che il voto britannico sia stato il 23 e in quei sette giorni il nostro Pil si dovrebbe essere fermato, solo il nostro peraltro perché gli altri sono più mossi. E la Brexit c'è stata per tutti (ma l'Itasia non doveva essere meno esposta, dixit sempre l'esecutivo?) e pure il terrorismo che peraltro ha colpito a fondo altrove, nei Paesi dove un piccola crescita è stata registrata comunque. Le aspettative dunque non c'azzeccano molto, vediamo qui sotto quelle Ue più prudenti rispetto alle nostre
Il risultato è che la bilancia 2017 dovrà reperire 20-25 miliardi tra i 15,6 necessari per bloccare gli aumenti automatici dell'Iva e la decina (fra lo 0,4 e lo 0,6%) del Pil. Uno scherzo, naturalmente, che Renzi e Padoan cercano di mascherare facendo ancora un volta la faccia feroce con Bruxelles e gli occhi dolci a Merlkel e Hollande e sollecitando nuova flessibilità (oltre a quella già raggiunta che ha portato, grazie al fattore migranti, all'1,8% rispetto all'1,4 indicato): non sarà semplice ottenere di volare al 2,2%, altri sei miliardi o poco più. L'Italia però i suoi compiti a casa li ha fatti poco e male, con buona parte di un'espressione disgraziata e offensiva per un Paese: non ha ne ridotto ne riqualificato la spesa pubblica.
Il punto è sempre quello: la natura di Renzi e del suo governo, un esecutivo preda e ostaggio delle oligarchie finanziarie ed industriali e delle lobby a queste connesse. L'unica riforma "coraggiosa" e di rottura il governo l'ha fatta nei confronti dei lavoratori e dei sindacati, obbiettivamente i corpi sociali oggi più deboli e indeboliti. Ma anche in questo caso si tratta di riforme nate dalla spinta, più ideologica che effettiva (basti l'articolo 18 che per ammissione anche della parte confindustriale, non ha mai riguardato che qualche migliaio di casi all'anno), delle suddette oligarchie.Ma sulle liberalizzazioni, sull'apertura della concorrenza, su un'efficace riforma della giustizia civile e penale - anche qui con abbattimento delle barriere corporative - o su quella della pubblica amministrazione, poco o nulla si vede e si vedrà. Perché, soprattutto nell'assetto pubblico, si è voluto puntare in particolare sulla scarsa "flessibilità-mobilità" del personale piuttosto che sull'efficientamento e sulla razionalizzazione della medesima struttura, processi che avrebbero messo in forse posizioni apicali di reddito consolidate e stratificate. Se servisse un esempio, le famose "lenzuolate" del "conservatore" Bersani avrebbero avuto, se portate a termine, un valore di modernizzazione della società cento volte le riforme renziane.
Così i risultati sono quelli che abbiamo sotto gli occhi: occupazione già in rallentamento e che comunque deve i suoi numeri più alla trasformazione dei contratti (grazie a 10 miliardi di sgravi, cosa si sarebbe potuto fare di altro e più efficace con questi soldi?) che non alla loro germinazione originale. E nel 2016-primo trimestre i nuovi contratti a tempo indeterminato - qui i dati del Sole 24 ore - sono il 77% in meno di quelli del 2015 (gli incentivi sono scesi al 40%) e il risultato è peggiore anche del 2014 Per il resto i dati Istat, mensili, segnano qualche lieve incremento (in gran parte, va sottolineato, fra gli indipendenti più che fra i dipendenti), molto ma molto meno di quanto sarebbe necessario per una vera svolta. Da tenere presente che l'Istat parla di "occupati" e l'aumento non significa per forza nuove assunzioni o nuovo contatto, quanto un aumento percentuale o assoluto in rapporto ai movimenti in altre voci.
"A giugno - sostiene l'Istat - la stima degli occupati aumenta dello 0,3% (+71 mila persone occupate), proseguendo la tendenza positiva già registrata nei tre mesi precedenti (+0,3% a marzo e ad aprile, +0,1% a maggio). Tale crescita è attribuibile sia alla componente maschile sia a quella femminile e riguarda gli indipendenti (+78 mila), mentre restano sostanzialmente invariati i dipendenti. Il tasso di occupazione, pari al 57,3%, aumenta di 0,1 punti percentuali sul mese precedente. I movimenti mensili dell'occupazione determinano nel secondo trimestre del 2016 un consistente aumento degli occupati (+0,6%, pari a 145 mila unità) rispetto al primo trimestre, con segnali di crescita diffusi sia per genere sia per posizione professionale e carattere dell'occupazione. Dopo il calo di maggio (-0,8%) la stima dei disoccupati a giugno aumenta dello 0,9% (+27 mila). L'aumento è attribuibile agli uomini (+2,0%) a fronte di un lieve calo tra le donne. Il tasso di disoccupazione è pari all'11,6%, in aumento di 0,1 punti percentuali su maggio. Diminuisce di 0,3 punti il tasso di disoccupazione tra i giovani 15-24enni. La stima degli inattivi tra i 15 e i 64 anni a giugno diminuisce dello 0,4% (-51 mila), proseguendo il calo dei tre mesi precedenti. La diminuzione riguarda uomini e donne. Il tasso di inattività scende al 35,1% (-0,1 punti percentuali). Nel trimestre aprile-giugno l'aumento degli occupati (+0,6%, pari a +145 mila) è associato ad un calo degli inattivi (-1,3%, pari a -181 mila), mentre i disoccupati sono in lieve aumento (+0,2%, +7 mila). Su base annua si conferma la tendenza all'aumento del numero di occupati (+1,5%, pari a +329 mila). La crescita tendenziale è attribuibile sia ai dipendenti (+1,4%, pari a +246 mila) sia agli indipendenti (+1,5%, pari a +83 mila) e si manifesta per uomini e donne, concentrandosi tra gli over 50 (+264 mila) e i 15-34enni (+175 mila). Nello stesso periodo calano i disoccupati (-4,5%, pari a -140 mila) e gli inattivi (-2,3%, pari a -325 mila)".Il debito resta alta, un'altra recessione è alle porte, i consumi interni al palo e non è escluso un intervento statale sulle banche perché, dopo settimane passate a raccontare che la Europa era pronta ad accogliere la proposta italiane a andarle incontro sul salvataggio di Mps & C, alla fine Roma è stata respinta: o piuttosto non c'erano le possibilità di un sì che avrebbe aperto la diga anche per gli altri istituti e di fatto avrebbe affondato il bail in appena approvato, ma lo storytelling governativo ha preferito alimentare una fiaba senza lieto fine.
Ecco il quadro di fine anno che ci aspetta e aspetta il varo della legge di stabilità con Renzi che torna a parlare di tasse da tagliare, alimenta illusioni su pensioni e sostegni vari un po' a tutti e, come per il bail in visto in precedenza, cerca di accreditarsi una possibilità con Bruxelles (e Berlino) pur sapendo benissimo di aver già scontato una grossa flessibilità e di rimandare ancora le prescrizioni europee.
Certo è che in queste condizioni è complicato vedere con ottimismo la fine del 2016 e soprattutto il 2017.
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