C'è un aspetto che la vicenda delle quattro banche che hanno fatto crac non è stato detto. O messo in evidenza. E non riguarda solo le banche anche se per parlarne partiamo da queste ultime. Il punto di partenza sono i risparmiatori male informati, raggirati o convinti in buona(mala) fede a comperare le obbligazioni secondarie in questi giorni il massimo del peggio fra i prodotti bancari offerti, almeno secondo il comune sentire.
Giustamente il sito di economisti italiani emigrati negli States noisefromamerika si pone alcuni problemi, uno dei quali è come mai la rabbia si rivolga in particolare verso il governo, la Consob, Bankitalia e altri più che nei confronti dei manager che hanno portato le quattro banche al collasso. Perché alla fine i colletti bianchi se la cavano sempre, soprattutto quelli dei piani alti? Domanda paradossale, ma che spalanca la porta su una risposta forte forte espressa con retorica e ipotesi: non è che le banche hanno così mutato la loro funzione da costringere sempre più i loro dipendenti a trasformarsi in venditori senza scrupoli e limiti?
Questa domanda si appoggia sull'evento che si è consumato, ovvero sul fatto che tutti sapevano che le banche erano in difficoltà, ma che in Italia quando si parla di istituti di credito tutti chinano la testa o si voltano altrove. E in ogni caso s'inginocchiano: basti anche l'ultimo esempio del governo - forse per farsi aiutare sulle misue di aiuto alle povertà, oppure sul ruolo di sostegno al debito attraverso l'acquisto ormai continuo dei titoli pubblici - che ha concesso 4 miliardi di sconto per l'Ires e varie altri sostegni più o meno diretti.
Il dato di fondo è un altro e coinvolge anche il sindacato: le banche non più solo di risparmio incentivano, stimolano, obbligano e portano i dipendenti a un modello competitivo e premiale che annulla il rapporto umano, la conoscenza psicologica del cliente e dei suoi redditi, li mette uno contro l'altro, giustificando scelte altrimenti poco etiche o addirittura scorrette.
Ecco il risultato di politiche rivendicative e sindacali concentrate molto sull'aspetto monetario (fondamentale negli anni della crisi e dei tagli occupazionali) piuttosto che su quello del lavoro e delle modalità dello stesso, dei tempi e delle cadenze. Anche in banca si cerca di far passare lo schema di scarsa o quasi nulla mobilità/flessibilità del salario a tutto vantaggio della parte mobile, legata ai risultati e ai budget. E in nome di questi ultimi due assunti ogni mossa è legittima. Anche e soprattutto quella di piazzare titoli pericolosi ai piccoli risparmiatori, celando la verità dietro montagne di fogli che nessuno legge.
Questo metodo ormai si estende praticamente a qualsiasi occupazione, nel nome del contenimento dei salari, del risparmio e del controllo su un personale diviso e in concorrenza feroce al proprio interno. La volontà - Marchionne docet - è di tenere bassa e ferma la parte fissa del salario a tutto vantaggio di quella mobile legata ai risultati. Risultati che, va sottolineato, solo in minima parte dipendono dagli stessi lavoratori, i quali non hanno certo il controllo dell'operato dei manager e neppure possono infilare il naso nei bilanci. Così ovunque il mantra sono i budget e gli obbiettivi da raggiungere per riscuotere minimi aumenti da confermare solo attraverso performance sempre crescenti e per questo diaboliche e ciniche.
Per comprendere quanto distorsivo sul piano sociale ed economico sia questo metodo, basti osservarne la distorta applicazione in due campi in cui il fattore economico dovrebbe essere secondario rispetto alla "mission" di base: la scuola e la sanità. Presidi-manager sono scatenati ogni anno per avere sempre più studenti, pena vedere il loro istituto ridimensionato (prestigio e stipendio compresi) e quindi avanti con "open days" dai contenuti fittizi, belle vetrine che possono attirare solo chi viene da famiglie abbienti in un circolo vizioso che alimenta lo schema: studenti di buona famiglia convinti dal prestigio/buone famiglie che danno prestigio. E le famiglie "meno buone" e soprattutto meno ricche che restano lontane o finiscono per essere indirizzate verso istituti al loro livello.
Idem negli ospedali, con manager espressione della politica scatenati come i presidi per avere posti letto e attrezzature di livello, anche se in contesti caratterizzati da doppioni. E via con i più succosi rimborsi assicurati dai Drg redditizi e le prestazioni in regime di libera professione, anche qui con un sistema premiale che garantisce i manager. I quali hanno un solo tabù, scelto non a caso: spirito competitivo dunque, ma non con le strutture private che la politica protegge e aiuta.
Giustamente il sito di economisti italiani emigrati negli States noisefromamerika si pone alcuni problemi, uno dei quali è come mai la rabbia si rivolga in particolare verso il governo, la Consob, Bankitalia e altri più che nei confronti dei manager che hanno portato le quattro banche al collasso. Perché alla fine i colletti bianchi se la cavano sempre, soprattutto quelli dei piani alti? Domanda paradossale, ma che spalanca la porta su una risposta forte forte espressa con retorica e ipotesi: non è che le banche hanno così mutato la loro funzione da costringere sempre più i loro dipendenti a trasformarsi in venditori senza scrupoli e limiti?
Questa domanda si appoggia sull'evento che si è consumato, ovvero sul fatto che tutti sapevano che le banche erano in difficoltà, ma che in Italia quando si parla di istituti di credito tutti chinano la testa o si voltano altrove. E in ogni caso s'inginocchiano: basti anche l'ultimo esempio del governo - forse per farsi aiutare sulle misue di aiuto alle povertà, oppure sul ruolo di sostegno al debito attraverso l'acquisto ormai continuo dei titoli pubblici - che ha concesso 4 miliardi di sconto per l'Ires e varie altri sostegni più o meno diretti.
Il dato di fondo è un altro e coinvolge anche il sindacato: le banche non più solo di risparmio incentivano, stimolano, obbligano e portano i dipendenti a un modello competitivo e premiale che annulla il rapporto umano, la conoscenza psicologica del cliente e dei suoi redditi, li mette uno contro l'altro, giustificando scelte altrimenti poco etiche o addirittura scorrette.
Ecco il risultato di politiche rivendicative e sindacali concentrate molto sull'aspetto monetario (fondamentale negli anni della crisi e dei tagli occupazionali) piuttosto che su quello del lavoro e delle modalità dello stesso, dei tempi e delle cadenze. Anche in banca si cerca di far passare lo schema di scarsa o quasi nulla mobilità/flessibilità del salario a tutto vantaggio della parte mobile, legata ai risultati e ai budget. E in nome di questi ultimi due assunti ogni mossa è legittima. Anche e soprattutto quella di piazzare titoli pericolosi ai piccoli risparmiatori, celando la verità dietro montagne di fogli che nessuno legge.
Questo metodo ormai si estende praticamente a qualsiasi occupazione, nel nome del contenimento dei salari, del risparmio e del controllo su un personale diviso e in concorrenza feroce al proprio interno. La volontà - Marchionne docet - è di tenere bassa e ferma la parte fissa del salario a tutto vantaggio di quella mobile legata ai risultati. Risultati che, va sottolineato, solo in minima parte dipendono dagli stessi lavoratori, i quali non hanno certo il controllo dell'operato dei manager e neppure possono infilare il naso nei bilanci. Così ovunque il mantra sono i budget e gli obbiettivi da raggiungere per riscuotere minimi aumenti da confermare solo attraverso performance sempre crescenti e per questo diaboliche e ciniche.
Per comprendere quanto distorsivo sul piano sociale ed economico sia questo metodo, basti osservarne la distorta applicazione in due campi in cui il fattore economico dovrebbe essere secondario rispetto alla "mission" di base: la scuola e la sanità. Presidi-manager sono scatenati ogni anno per avere sempre più studenti, pena vedere il loro istituto ridimensionato (prestigio e stipendio compresi) e quindi avanti con "open days" dai contenuti fittizi, belle vetrine che possono attirare solo chi viene da famiglie abbienti in un circolo vizioso che alimenta lo schema: studenti di buona famiglia convinti dal prestigio/buone famiglie che danno prestigio. E le famiglie "meno buone" e soprattutto meno ricche che restano lontane o finiscono per essere indirizzate verso istituti al loro livello.
Idem negli ospedali, con manager espressione della politica scatenati come i presidi per avere posti letto e attrezzature di livello, anche se in contesti caratterizzati da doppioni. E via con i più succosi rimborsi assicurati dai Drg redditizi e le prestazioni in regime di libera professione, anche qui con un sistema premiale che garantisce i manager. I quali hanno un solo tabù, scelto non a caso: spirito competitivo dunque, ma non con le strutture private che la politica protegge e aiuta.
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