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Smog o no smog, questa è l'ipocrisia

Bravi sindaci, bravi e coraggiosi!. In senso ironico, ovviamente. E visto che ci siamo anche qualche commissario straordinario. Adesso che il Pm10 è costantemente, da settimane, ben oltre i 50 microgrammi per metro cubo, arrivando a doppiare un limite che dovrebbe addirittura essere , secondo molti studi medici,

di cinque volte inferiore per non provocare danni alla salute. Ma la Ue è stata magnanima, anche per salvare produttori di auto e industria in genere, e ha fissato i 50 microgrammi.
Ma con il riscaldamento climatico, quest'anno il limite è stato superato anche 90 volte dalle parti di Milano e in buona parte della regione, contro i 35 sforamenti "ammessi" sempre dall'Europa. Ebbene, il superamento si verifica da anni, anche in passato si è andati ben oltre in tante occasioni e le multe previste alla fine non sono arrivate - Formigoni era un esperto nel mescolare le carte per convincere che bastava annunciare provvedimenti antismog per non incorrere nelle ire di Bruxelles e ottenere una benevola accondiscendenza - o sono state pagate senza troppi patemi per le casse pubbliche.
Stavolta però il sole tradisce, la gente si accorge di più dell'inquinamento e così se ne parla.

Il termine è nato negli anni ‘50 dalla fusione di smoke e fog per descrivere l’atmosfera invernale di Londra, in cui la nebbia si mescolava ai fumi derivanti dall’estensivo uso di carbone, sia per scopi industriali che per il riscaldamento domestico. Nell’inverno del 1952 la concomintanza di ingenti emissioni di fumi contenenti polveri incombuste, anidride solforosa e ossidi di azoto con un lungo periodo di inversione termica (fenomeno che impedisce la dispersione dei gas negli strati alti dell’amosfera) provocò sulla capitale inglese la formazione di una cappa velenosa. A questo evento fu attribuito il significativo aumento registrato in quei giorni della mortalità (4.000 persone) e di ricoveri per disturbi alle vie respiratorie. Oggi lo smog di tipo tradizionale si forma più raramente: l’industria e il riscaldamento utilizzano in modo più limitato il carbone mentre altri combustibili come il gasolio producono quantità minori di particolato. Più preoccupante è un altro tipo di smog, detto fotochimico: la forma d’inquinamento più diffusa oggi nelle grandi città, che si verifica soprattutto d’estate e nei periodi d’alta pressione. Il suo indicatore chimico è l’elevata concentrazione di ozono a bassa quota. Un ruolo essenziale nel processo di formazione è svolto dalle radiazione solari, che innescano reazioni fotovolchimiche di trasformazione degli inqinanti primari. Nei grandi agglomerati urbani la sua principale causa è il traffico automobilistico, nelle aree non densamente urbanizzzate le industrie, in particolare petrolchimiche. È nocivo alla salute umana (irritante per gli occhi, per le vie respiratorie e cancerogeno) ma anche per animali, piante ed ecosistemi acquatici. Per la sua acidità è in grado di corrodere edifici e monumenti. Contribuisce alla formazione dei gas serra come l’anidride carbonica, l’anidride solforosa e gli ossidi d’azoto. (Fonte: Legambiente)

L'inquinamento abituale si rafforza e diventa "il problema", soprattutto nell'avanzata Lombardia 
Così comincia il balletto. Ignorando tutta una serie di provvedimenti che sarebbero veramente utili ma che hanno il difetto di dover essere presi per tempo e su un arco di tempo medio (vedere i 10 consigli di Legambiente), ognuno si è mosso autonomamente.
Ha cominciato Giuliano Pisapia (l'unico comunque che può rivendicare una serie di interventi negli anni scorsi per ridurre l'inquinamento e cercare di far evolvere Milano secondo modelli avanzati ed eco-compatibili, sulla scia di alcune metropoli e dei modelli nordici) con il classico blocco delle auto (per gli esperti il riscaldamento incide solo per un terzo), altri hanno scelto le inutili targhe alterne (le auto che mancano sono rimpiazzate da quelle in regola, di parenti e amici), altri - i più spiritosi sarebbe da dire se non si decidesse della salute pubblica - hanno preferito dire che non serve a nulla e che non si possono bloccare gli spostamenti legittimi dei cittadini. E comunque, guarda caso, tutti hanno deciso di intervenire o non-intervenire dopo Natale, per salvare il mito dell'acquisto e del consumo evitando di incorrere negli strali del presidente del Consiglio che avrebbe senza dubbio puntato il dito e accusando di minare la ripresa in atto.

Natale è passato, adesso si può "operare". Forse. Con una ipocrisia che supera abbondantemente i limiti, molto più del letale Pm10. E soprattutto con la speranza che nel giro di qualche giorno la famigerata alta pressione ceda al freddo, alla pioggia e alla neve. Così si potrà tornare ad evitare di parlare di smog e in particolare di cominciare a costruire ambienti urbani a misura di salute dell'uomo e di rispetto del biosistema, magari promuovendo nel contempo una concreta green economy.

La situazione meteo particolare di queste settimane dimostra l' urgenza di provvedimenti strutturali. Bisogna intervenire anche sul riscaldamento che d' inverno vale circa 1/3 delle polveri sottili e le biomasse da questo punto di vista sono micidiali: ci vuole il gas e ancor meglio le pompe di calore, la geotermia, il solare. Ma il problema centrale resta il traffico. I sindaci possono fare molto, ad esempio estendere le zone a traffico limitato: a Milano ha funzionato. Ma poi tocca al governo. Serve un trasporto pubblico dignitoso, spazio per la mobilità a basso impatto ambientale e una forte spinta verso i mezzi elettrici. Purtroppo siamo in ritardo di qualche decennio. Ma meglio tardi che mai. (Nicola Pirrone, direttore dell' Istituto sull' inquinamento atmosferico del Cnr, intervista a La repubblicas del 24 dicembre 2015)
Se si agisse così, se a livello nazionale e regionale si assumessero queste direttrici, allora sì non servirebbe fermare il traffico o limitarlo: se non altro perché in giro  ci sarebbero molte meno auto, più pulite, vedremmo piste ciclabili, il trasporto pubblico di treni e bus "verdi" sarebbe preponderante e il riscaldamento degli edifici non avvelenerebbe l'aria.
Ma per far ciò occorre sfidare i big dell'auto su produzione, tecnologie e controlli, affrontare le resistenze di caste e organizzazioni imprenditoriali, perfino abituare e convincere tanti cittadini a cambiare il loro stile di vita.
Una cosa da nulla, cari sindaci: riuscireste però a salvare molte e molte persone che abitano nelle vostre città e paesi.

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