I dati, seppure non ancora definitivi, forniscono però altri e nuovi elementi su chi e come andrà alla sfida di novembre con Trump
Tratta dal Washington Post
Non solo. Leggete un po' qui il poll sulle categorie su cui ciascun candidato può contare e gli ambiti in cui è più o meno ben visto e votato
1. Sanders è arrivato primo grazie alla mobilitazione dei giovani e alla sua presenza capillare sul territorio. Ma non è riuscito a schiacciare la nuova stella Buttigieg come forse pserava e alla fine porta a casa non molti delegati, in uno Stato su cui poteva contare. Il numero di delegati è importante per poter valutare la possibilità del senatore del Vermont di arrivare a puntare alla leadership. Il buon risultato di Buttigieg e di Amy Klobuchar la dice lunga sulle chance che Sanders ha (o non ha) di poter trascinare l'elettore dem più moderato. Dalla sua Sanders ha ancora una buona scorta di denaro dei suoi finanziatori.
2. Pete Buttigieg ha riconfermato l'ottima prova dell'incasinato Iowa. Per ora è il concorrente più duro per Sanders. I moderati dem puntano su lui (e su Klobuchar) per contrastare il socialista. Dall'altro lato però Buttigieg non riesce ancora a sfondare soprattutto nell'opinione pubblica: resta il sindaco di un piccolo centro senza esperienza politica nazionale (e in America ciò conta molto nel voto), non raccoglie il voto afro-americano (deficit fondamentale nella corsa) anche per alcuni comportamenti visti come non corretti verso questa componente. Lo stesso si può dire per l'altrettanto decisivo voto degli ispanici. Per lui adesso arriva la prova dura del Nevada (dove contano molto gli ispanici) e del South Carolina (a forte presenza afroamericana). Ecco i prossimi appuntamenti:
3. Amy Klobuchar si sta rivelando... più rivelazione di Buttigieg. Ha avuto un buon risultato anche in New Hampshire, dall'ultimo dibattito è uscita meglio degli altri contrapponendo, ad esempio la sua educazione dura ai miliardi di Bloomberg e sostenendo il ritorno a un empatia con il Paese. Ha ancora molti punti deboli (i giovani, è poco liberal, non sfonda fra chi guadagna poco e anche nella mezza età), però con il suo moderatismo erode voti sia a Buttigieg sia (soprattutto) a Biden. Molte delle sue fortune dipenderanno da come la senatrice del Minnesota uscirà dai prossimi due appuntamenti.
4. La delusione Warren. La coltissima e preparatissima senatrice del Massachusetts è in èpieno declino. In uno Stato liberal come il New Hampshire è arrivata solo quarta e per di più a distanza abissale dal terzo posto. Il suo discorso (ultra liberal, anti Wall Street, di regole per disciplinare il capitalismo ma non in alternativa, concetto sfumato che però caratterizza Sanders) non è più nuovo e si ripete. A meno di improvvisi ribaltoni, si sta spegnendo e qualche analista ipotizza che possa presto passare ad appoggiare Sanders.
5. L'ex vicepresidente Jo Biden esce con le ossa rotte dalle culle del voto Dem. Non hanno molta importanza i pochi delegati raccolti e perfino il quinto posto. A impressionare sono i distacchi dagli altri, l'impenetrabilità nell'elettoralo del suo discorso molto proiettato su ciò che è stato con Obama, su ciò che è stato realizzato con Obama, sul buon governo di Obama. Tutto troppo rivolto al passato. Scontato perfino, monotono e forse appartenente a un'altra epoca, magari più posata e tranquilla, di buona politica, ma certo non adatta a dar battaglia a un mastino come il presidente in carica. Anche per lui fondamentali i prossimi appuntamenti, se non altro per recuperare spinta ideale e restare sull'onda della notorietà, e soprattutto il SuperMartedì 3 marzo. Dove però farà la sua comparsa Bloomberg...
6. C'è ma non c'è. E' il miliardario Michael Bloomberg, non ancora ufficialmente in pista ma molto presente - proprio, paradossalmente per la sua assenza - e che dovrebbe lanciare l'offensiva proprio il 3 marzo, nell'appuntamento delle primarie Dem nei grossi Stati, quelli che portano anche il maggior numero di delegati, 1400 in un solo giorno. Bloomberg si sta letteralmente comperando la possibilità di essere il candidato anti Trump. Si basa sul suo immenso patrimonio personale - non vuole finanziatori in modo da non dipendere da nessuno e non dover essere legato da vincoli di reciprocità una volta conquistata la Casa Bianca - e può ("tutto il possibile" ha detto) spendere la fantastica cifra di 2 mld di dollari che nessuno, neppure lontanamente e neppure Trump o i Rep, può eguagliare.
Finora ha speso 300 milioni in spot e pubblicità per cominciare ad accreditarsi al di fuori del voto delle primarie. In vista del 3 marzo dovrebbe mettere in campo fino a 600 mln di dollari.Come mostra questo grafico ( fonte Axios) ha speso di più di tutti gli altri candidati messi insieme.
Non va dimenticato, inoltre, che finora i suo avversari "interni" (Bloomberg è un recente acquisto per i Dem ma il suo profilo è abbastanza contraddittorio e non sempre in linea con la storia del partito) hanno profuso la gran parte delle risorse raccolte per vincere nei due Stati, Iowa e New Hampshire, mentre lui, per raggiungere già adesso un livello di gradimento/conoscenza del 10% a livello nazionale (addirittura in California i polls lo danno davanti alla apprezzata Warren), alla fine ha anche "risparmiato". Non solo, perché anche sul piano organizzativo Bloomberg sta mettendo assieme una squadra di 2100 persone stipendiate che sono più del doppio di quanto hanno messo o metteranno in campo i trumpiani e i Rep e niente di rapportabile alle poche centinaia di volontari di Sanders o della Warren. In più il profilo abbastanza moderato e perfino un po' rep del miliardario lo pone in diretta contrapposizione con i capifila Buttigieg e Klobuchar che già si sono dissanguati e fatti reciprocamente male nella battaglia contro Sanders.
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