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La recessione ai tempi del coronavirus


La paura di oggi potrebbe essere il dramma di domani. Oggi i timori per la salute di ciascuno di noi, domani la tragica consapevolezza che la vita di tutti potrebbe farsi difficile sul piano economico. E' giusto che gli italiani ne siano coscienti, al di là delle follie e degli isterismi della corse ai supermercati nei giorni della stretta sul coronavirus.

Proprio la sindrome parainfluenzale, forse un po' epidemia,  potrebbe infliggere all'economia italiana il colpo di grazia dopo anni e mesi in cui nessun governo è stato in grado di agganciare la ripresa che pure nel mondo c'era e di contrastare le spinte centrifughe di un'Italia incapace di rinnovarsi sul serio e preda eterna dei suoi difetti, dei suoi squilibri, delle sue ingiustizie, della sua visione provinciale del mondo e di quello dell'economia in particolare. Senza avere, per di più, alcuna visione del futuro.
Il governatore di Bankitalia ha parlato di una contrazione di un paio di decimali, almeno, di Pil a causa del virus. "Almeno" ha sottolineato. Ma tutti o quasi gli analisti  sono propensi a credere che il 2020 per il nostro Paese si chiuderà con una recessione, una drammatica recessione, la quarta dal 2008: un qualcosa che potrebbe oscillare fra un -0,5 e -1%. Servirà poco consolarsi con il fatto che l'impatto del coronavirus sulla Cina e sulla sua crescita, già in rallentamento da qualche anno, spingerà al ribasso anche le economie del resto del mondo, con l'eccezione parziale oppure no, degli Stati Uniti che, tra l'altro, sono in anno elettorale.
Scrive Jattoni D'Asen su Il Corriere che

... "La timida crescita italiana «negli ultimi anni è stata strettamente correlata all’economia globale», osserva Silvia Dall’Angelo, economista senior di Hermes Investment. «La domanda interna è stata debole, il che implica che la crescita italiana è stata particolarmente vulnerabile agli shock esterni». Non solo la mini-ripresa dell’ultimo anno è stata trainata principalmente dall’export, che oggi rischia di pagare un conto altissimo per l’emergenza coronavirus, con relativo impatto sull’economia nazionale.
Solo poco dopo la metà di gennaio, quando l'allarme coronavirus era appena all'inizio e in gran parte sconosciuto e nascosto al mondo, il Fondo monetario assegnava all'Italia una crescita dello 0,5%, dopo il +0,2% del 2019.Per il 2021 il Fmi era più prudente e non andava oltre a un +0,7%, un decimale in meno delle previsioni i ottobre.

L'Outlook del Fmi

Questo prima. Ora il quadro è rapidamente peggiorato. Il Fmi prevedeva un rallentamento mondiale ma non certo la crisi innescata dalla sindrome parainfluenzale, epidemica e, per ora, non pandemica. Dopo il +2,9% del 2019, il pil mondiale era dato in crescita del 3,3 e del 3,4 per il 2021, con una limatura dovuta soprattutto al rallentamento di alcune economie, quella indiana in particolare.
Il quadro adesso è drammaticamente peggiorato.
Le prime stime per la Cina parlano "di una perdita tra l’1 e il 3 per cento del Pil, ma il perdurare dei blocchi di trasporti e produzione potrebbe costare molto di più, alla Cina e al resto del mondo" (Lavoce.info). I riferimenti vanno alla Sars del 2003, ma la grossa differenza sta nel peso della Cina sull'economia mondiale. Allora il Pil cinese ammontava a poco più di 1.660 miliardi di dollari,  oggi è oltre 13.600, oltre otto volte tanto.

La provincia di Hubei, dove c'è Wuhan, ha circa 60 milioni di abitanti, è una delle prime dieci del paese in quanto  a capacità produttiva ed è un crocevia dei trasporti. 
"Quest’anno, a causa del virus, non è stato così perché tutti i trasporti pubblici a lunga percorrenza a Wuhan, Pechino, Tianjin, Xi’an e nella provincia di Shandong sono stati bloccati. Il numero di passeggeri nel trasporto ferroviario di sabato 25 gennaio – il primo giorno del nuovo anno lunare – è stato inferiore del 42 per cento rispetto al periodo equivalente del 2019, mentre il traffico di passeggeri su strada è diminuito del 25 per cento. Per avere un confronto con il mese di punta dell’epidemia di Sars, nel maggio 2003 il calo su base annua fu del 57 per cento per la ferrovia e del 45 per cento per la strada". (lavoce.info)
Il Fmi aveva fissato la crescita di Pechino al 6% per il 2020 e del 5,8 l'anno successivo. Se nel 2003 la frenata del secondo trimestre rispetto al primo fu nell'ordine dei 2 punti, stavolta potrebbe essere - anzi, quasi di certo - sarà ben maggiore.
Una prospettiva devastante, come del resto sottolinea anche Carlo Cottarelli ( Osservatorio sui conti pubblici della cattolica di Milano) ricordando l'importanza della Cina nella "supply chain", la catena dell'offerta su scala mondiale e osservando, anche lui, come "nel 2003 il Pil cinese, misurato in dollari, era pari al 4,3 per cento del Pil mondiale. Ora è arrivato al 16,7 per cento".
"L’impatto sul resto del mondo degli sviluppi economici in Cina avverrà attraverso due canali. Il primo è quello della caduta della domanda di beni e servizi da parte della Cina: imprese e consumatori cinesi importeranno meno. Già è evidente il calo dei turisti cinesi negli altri Paesi. Il secondo riguarda le minori forniture da parte della Cina di prodotti semilavorati che vengono utilizzati dal resto del mondo. La Cina svolge un ruolo importantissimo nella cosiddetta «supply chain», la catena dell’offerta". 
Un anticipo di quanto può accadere è stato il crollo dei mercati lunedì 25 febbraio: il Down Jones ha perso il 3.6, Milano  il 5,4, oltre mille mld di dollari bruciati in una seduta. Ed è solo l'inizio.

Effetto Coronavirus anche su tutti gli altri mercati azionari del Vecchio continente: Francoforte ha concluso in calo del 4,01%, Parigi in ribasso del 3,94%, mentre Londra ha perso il 3,34% finale. L'indice Euro stoxx 600, con i principali gruppo quotati del Vecchio continente, ha perso il 3,79%, 352 miliardi di euro 'bruciati' . Per l'Italia ha ripreso vigore lo spread Btp-Bund a 145 punti base in chiusura, dai 134 di venerdì scorso. Il rendimento per il decennale italiano è allo 0,96%.

Il crollo delle Borse non fa altro che rendere palese la crisi che sta ricadendo sulle principali economie ora alle prese con la carenza di forniture di pezzi dalla Cina, mentre per converso si assiste - e si assisterà ancora di più - alla caduta del turismo orientale verso il resto del mondo e alla contrazione delle spese per il settore del lusso, particolarmente importante in questi anni in Cina. 

Da qui alla recessione italiana (e, nessuno lo può escludere in uno scenario più hard, anche dell'area euro) il passo è breve e consequenziale. Se non altro perché è ben nota la fragilità italiana e la sua permeabilità a eventuali shock esterni. Shock sempre paventati come esempi di scuola e ora, purtroppo, verificatisi. Parlando al Corriere, Silvia Dall’Angelo, economista senior di Hermes Investment, ha detto che "la timida crescita italiana negli ultimi anni è stata strettamente correlata all’economia globale. La domanda interna è stata debole, il che implica che la crescita italiana è stata particolarmente vulnerabile agli shock esterni». Aggiungendo che l'unico sostegno alla mini crescita italiana in questi anni è stato in particolare l'export, la voce che oggi - a causa del coronavirus dalla Cina - risulterà il settore più colpito.
Oltretutto il fatto che i focolai dell'infezione si siano sviluppati nelle due regioni-traino dell'Italia (Lombardia e Veneto pesano per un terzo sull'intero Pil) non fa altro che aggravare il quadro d'insieme come ha spiegato, sempre al Corriere Nadia Gharbi economista a Pictet Wealth Management: «Il colpo del primo trimestre alla Cina a causa del coronavirus porterà probabilmente ulteriore debolezza all’economia italiana». Ovvero alla drammatica recessione. "Una recessione tecnica ci sarà decisamente", dice all'ANSA Lorenzo Codogno, fondatore di Lc Macro Advisors a Londra. Per il 2020 la stima è "negativa fra -0,5 e -1%". Raffaella Tenconi, capo economista di ADA Economics, se la situazione non si risolve rapidamente una contrazione dell'1% del Pil in Italia quest'anno è "plausibile". 
Una situazione resa ancora più difficile dalla carenza di armi adeguate in mano ai banchieri centrali di mezzo mondo: intervenire sui tassi è complesso e forse inutile visti i livelli attuali e per ogni mossa, in un caso come questo, occorre ponderare bene le misure che devono fare i conti con la reazione emotiva dei cittadini.

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