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La guerra di Trump alla cultura

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Uno dei capolavori salvati dai Monuments Men




"Colpiremo anche i centri culturali iraniani", parola di Donald Trump in pieno delirio di onnipotenza dopo l'eliminazione di Qassem Soleimani (QUI), il capo della Quads Force, il corpo d'elite dei Guardiani della rivoluzione iraniani. Se non si trattasse di una vicenda dannatamente seria e dolorosa, oltre che pericolosa sul piano internazionale, verrebbe da prenderla come una battuta, della spacconata di un riccone che non sa di cosa sta parlando.


Invece a scrivere il tweet, io cui si annuncia l'individuazione di 52  obbiettivi iraniani pronti per essere colpiti e fra questi anche importanti siti culturali, è stato un ex tycoon oggi presidente degli Stati Uniti.
Per la verità, dopo l'uscita, ora è intervenuto Mark Esper, il Segretario alla Difesa, che - dopo essersi scontrato, pare, con lo stesso Trump - ha detto ai giornalisti che non saranno attaccati siti culturali, specificando che gli Usa seguiranno  "la legge dei conflitti armati" e che il non prendere di mira i siti  della cultura di una Paese, ha aggiunto che  si trattava del " diritto dei conflitti armati". Un odo un po' arzigogolato e oscuro per smentire-non smentite l'uscita del comandante in capo. Che comunque, a dimostrazione di non aver parlato a caso, ha aggiunto un nuovo carico:
"Trump tweeted on Saturday that the United States has targeted 52 sites for possible retaliation, including “some at a very high level & important to Iran & the Iranian culture.” Speaking to reporters aboard Air Force One on Sunday night, the president doubled down in asserting his willingness to attack cultural sites: “They’re allowed to kill our people. They’re allowed to torture and maim our people. They’re allowed to use roadside bombs and blow up our people. And we’re not allowed to touch their cultural sites? It doesn’t work that way!” (The Washington Post)
Al di là delle affermazioni, delle smentite. dei ridimensionamenti, dele bugie o dei ripensamenti, rimane sul terreno la gravità di una eventuale scelta del genere in uno scontro fra Usa e Iran. Come ricorda lo stesso Washington Post, un altolà alla distruzione del patrimonio storico di un Paese viene dalla Convenzione dell'Aia del 1954 per la protezione dei beni culturali in caso di conflitto armato (QUI), ma anche da una serie di deliberazioni dell'Onu e delle sue strutture. Come ad esempio quanto si compì nel marzo 2017 - solo poche settimane dopo l'inaugurazione di Trump - quando "il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, con gli Stati Uniti come membro permanente, ha adottato all'unanimità una risoluzione che condanna la "distruzione illegale del patrimonio culturale, tra cui la distruzione di siti religiosi e manufatti" nei conflitti armati" (The WaPO).
La volontà di attaccare e distruggere simboli e tesori culturali di una nazione risale all'antichità, ma non appartiene ai tempi più recenti, seppure con qualche eccezione, come accadde durante la guerra nell'ex Jugoslavia. In occasione della distruzione di  Cartagine, la volontà dei vinti sarebbe stata - affermano numerosi storici - di estirpare il patrimonio ideale e la stessa memoria per imporre la propria. Oppure di ferire nell'intimo un popolo, annientarlo nel morale  e nel cuore come forse fu l'intento che portò al bombardamento e alla quasi totale distruzione di Dresda sul finire della seconda guerra mondiale (QUI).
Una scelta, un gesto, una decisione che, se attuata, rischierebbe di mettere Trump e la sua America sullo stesso piano dei terroristi dello  stato islamico o dei talebani, dell'Islam più retrivo e integralista, che portò alla distruzione di parte del tesoro archeologico siriano o alla polverizzazione a a colpi di plastico dei Buddha giganti di Bamyan, in Afghanistan.
Smentite o no, c'è un altro aspetto da chiarire: perché Trump ha sottolineato questi target? Forse alludendo alla possibilità che l'Iran celi le sue armi migliori o di reazione, sotto e con la protezione indiretta dei siti culturali  (definizione peraltro ampia e facilmente aggirabile o manovrabile) oppure dando sfogo a un'idea neppure tanto nascosta, che vede nell'Islam - nelle sue diverse declinazioni e in particolare quelle più violente - il nemico da annichilire ad ogni costo, ad ogni prezzo, perfino quello  capace di sfidare l'esecrazione mondiale?
Tutte le ipotesi sono possibili e ciascuna ha elementi a suo sostegno, sebbene  la più accreditata potrebbe essere quella di un'uscita rivolta al suo elettorato e al novembre di quest'anno, alla pancia di quell'America profonda che, con la speranza, sta gettando al vento umanità e perfino il grande sogno americano. Un'America dimentica perfino del valore e della missione dei suoi stessi uomini inviati nell'Europa del tramonto nazista per salvare quanto più possibile dei beni culturali e storici, epopea celebrata nel film The Monuments Men e nel libro di Robert Edsel che ispirò la pellicola (QUI).

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