Ridurre la tasse a tutti i costi è il mantra, poco importa se e come si possa coprire questo esborso massiccio - o mancato introito per lo Stato - che nella migliore delle ipotesi sarebbe di 17 miliardi (portando il deficit /pil al 4,1) ma potrebbe anche salire con proposte ancora più spinte. Un dato oltretutto che cozza contro la visione, sempre della destra nazionalista, di un continuum di condoni, scudi, paci fiscali il cui significato è univoco: perdonare in parte, con poca spesa, chi ha evaso le tasse, di fatto incentivando gli stessi - e anche gli altri - a non pagare il dovuto nel futuro. (Leggi qui)
Eppure il fascino della promessa e della parola estera resta intatto e attira tanti cittadini che non si chiedono neppure come mai una tassa piatta, unica, finirebbe - è una questione matematica, semplice semplice - per aiutare i più ricchi a scapito degli altri che, fra l'altro, come dipendenti in Italia contribuiscono per l'80 per cento al gettito globale dell'Irpef. In pochi fanno un altro ragionamento: in quasi tutte le proposte di taglio secco delle tasse portandola a un livello minimo, c'è un altro aspetto ovvero che la drastica riduzione avviene a fronte di un altrettanto radicale taglio di deduzioni e detrazioni, quindi via i vari bonus e agevolazioni per famiglie e categorie. E nessuno si pone neppure l'altro interrogativo: se fosse così semplice e popolare, perché in tutto il mondo non si ricorre alla flat tax se non in alcuni Stati dell'Est. Il motivo è abbastanza comprensibile, come dimostrano Baldini e Rizzo (Leggi qui): nei Paesi dove è in vigore la spesa pubblica e per i servizi sociali è molto più bassa rispetto al resto dell'Occidente - circa 12 punti in media - e in quest'ultimo caso, visto il livello raggiunto, l'abbassamento della spesa in questione sarebbe più consistente rispetto ai Paesi dell'Est, dove si partiva da quote più contenute.
Le grosse differenze sono comprensibili nel grafico qui sotto, pubblicato dal sito lavoce.info
Da qualsiasi parte la si giri quindi il problema resta lo stesso: meno tasse in un Paese dove si pagano già poco è più di un esercizio di equilibrismo, che diventa di fatto impossibile laddove le spending review non diventano mai realtà se non in forma minimale e laddove nessuna categoria è toccata nei suoi privilegi o nelle sue ampie possibilità economiche. Così il debito pubblico è salito a oltre 2 mila 400 miliardi, il rapporto deficit/pil lotta sempre con il margine europeo del 3 per cento e le regole del fiscal compact - giuste o sbagliate che siano - non sono mai state rispettate, in particolare nella dinamica della discesa annua di un ventesimo del rapporto deficit/pil fino a raggiungere il 60 per cento di indebitamento rispetto al 134 e oltre attuale. Qualcosa insomma come 50 miliardi all'anno a partire dal 2016 mantenendo il deficit strutturale allo 0,5%. Il risultato? Nullo, non si è mai cominciato in pratica se non marginalmente con Padoan ministro dell'Economia.
Il problema resta quindi molto complesso e rischia di diventare drammatico di fronte a una recessione già nei fatti (in Eurozona più che negli Usa, almeno per il momento) di fronte alla quale l'unica misura è la riaccensione del QE da parte del Draghi ormai pronto a uscire di scena. Un boomerang che non ha rilanciato finora l'inflazione e che anche stavolta, per i margini ridotti che potrà avere tra i pochi titoli da rastrellare e gli interessi negativi che riducono sempre di più i margini di banche e operatori finanziari, è a forte possibilità di non riuscire a rilanciare un'inflazione asfittica. Come si spiega in questo pezzo sempre da lavoce.info, la politica della Bce potrebbe ottenere effetti opposti proprio perché non pone abbastanza attenzione alla dinamica di domanda nell'ottica della gestione del risparmio delle famiglie. Una tesi rilanciata da Larry Summer e dagli economisti della Money Modern Theory (Mmt).
"Larry Summers ha recentemente riconosciuto la validità di un argomento coltivato nei modelli postkeynesiani in polemica coi modelli keynesiani classici, e cioè che per spiegare il ciclo occorre prestare molta più attenzione alle dinamiche della domanda e all’obiettivo che famiglie e imprese si pongono circa i propri risparmi. Secondo questo ragionamento, il calo dei tassi di interesse fa diminuire il reddito percepito dalle attività finanziarie al punto da indurre le famiglie a risparmiare di più, con effetti controproducenti sulla spesa privata. Secondo questa logica, la politica monetaria non solo non basta più, ma tassi sempre più bassi finiscono per avere un effetto restrittivo e, quindi, opposto alle intenzioni del banchiere centrale. È un punto sul quale convergono anche gli economisti della Modern Money Theory (Mmt) che evidenziano l’importanza che la politica economica agevoli il raggiungimento degli obiettivi di risparmio del settore privato, affermando che solo la politica fiscale può svolgere il compito in maniera efficace". (lavoce.info)
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