Dietro questi numeri vi sono molti motivi e anche oltreoceano, nonostante le cifre siano ancora dalla parte di Trump, si dà per scontato (la Federal Reserve di New York la dà al 32% delle possibilità) che nel 2020 anche l'America entrerà in recessione, peraltro dopo il più lungo ciclo positivo: 91 mesi dal giugno 2009 e fino a quando Trump è entrato alla Casa Bianca.
"Tra il 2010 e gennaio 2017, quando Trump ha prestato servizio, l'economia ha creato 16,1 milioni di posti di lavoro (5 milioni sono stati aggiunti sotto Trump) e il tasso di disoccupazione è stato ridotto di oltre la metà, dal 10% al 4,7% (è diminuito 1% sotto Trump)". (Bloomberg)A spingere molti, troppi, fattori: la guerra commerciale scatenata da Trump con la Cina soprattutto, con le ricadute non solo su Pechino (la cui economia è in rallentamento pur stando sui livelli oltre il 6%: il secondo trimestre chiama il 6,2 contro il 6,4% del primo trimestre e il 6,6 del 2018) ma anche su settori importanti per il Pil Usa, come l'agricoltura e le tecnologie (per gli Usa la crescita dovrebbe scendere al 2% nel 2020 e poi forse andare quasi in negativo).
A proposito di Cina ci sarà da tenere d'occhio l'evoluzione della protesta di Hong Kong che potrebbe incidere non poco sulla principale piazza finanziaria asiatica e centrale per gli affari cinesi con il resto del mondo libero. Poi la Brexit che cadrà come un macigno sul Pil britannico e sul resto dell'Europa e dell'Occidente. Ma anche le tensioni in Medio Oriente, il confronto Usa-Iran , la guerra civile nello Yemen e la rottura del fronte della "Nato araba" con gli Emirati che hanno rotto con Riad, il caos libico, le nuove elezioni in Israele, i rischi di guerra tra India e Pakistan per il Kashmir, le violenze suprematiste negli Usa e in giro per il mondo fino alla grande sfida-scommessa del cambiamento climatico, prossimo fattore in grado di sconvolgere le economie più avanzate.
Secondo Victor Dergunov, fondatore di Albright Investment Group, i segnali sono espliciti a partire dai comportamenti delle Borse e dalle mosse della banche centrali, a partire dalla volontà della Bce nell'ultima fase di Mario Draghi, di riprendere il programma di acquisti Quantitative Easing.
Per le Borse la recessione è già partita, sostiene Dergunov, che ricorda come gli Stati Uniti stiano uscendo dalla fase più lunga di crescita, durata una decina di anni, superiore a quella degli anni 90 culminata poi nell'esplosione della "bolla" delle dotcom.
L'economista prevede per gli Usa un futuro di tassi negativi forse anche permanenti e dinamiche "giapponesi" con un alto debito sostenuto da volumi di crescita. L'ex presidente della Fed, Alan Greenspan ha affermato che
“Non vi è alcuna barriera per i rendimenti del Tesoro USA che vanno sotto lo zero. Zero non ha alcun significato, oltre ad essere un certo livello. ” (Cnbc)Del resto non bisogna dimenticare che in tutto il mondo sono circa 15 trilioni di dollari i titoli di Stato scambiati con rendimenti negativi perché i risparmiatori, in periodi di paura e incertezza, preferiscono guadagnare meno pur di avere la sicurezza attorno ai loro capitali.
C'è però un altro fattore che gioca in modo decisivo: per Dergunov il debito pubblico e privato americano non fa presumere nulla di buono. (Leggi qui).
Intanto alcuni dati economici chiave:
"Nelle ultime settimane abbiamo visto l'occupazione manifatturiera ISM e le PMI manifatturiere ISM per luglio sono risultate sostanzialmente peggiori del previsto. L'occupazione manifatturiera ISM è arrivata a soli 51,7 rispetto al dato previsto 53,4 e il PMI manifatturiero ISM è arrivato a 51,2, ben al di sotto del dato previsto 52".
Altri numeri preoccupanti arrivano dal mercato della casa, dai trasporti e dall'autotrasporto e dalla disoccupazione i cui movimenti ultimi sono sovrapponibili e quelli dei periodi pre-recessione.
Il grafico quinquennale della disoccupazione |
Inoltre, il debito dei consumatori, sostiene l'economista, sta diventando un grosso problema. E se i prezzi e l'inflazione sono in crescita, non altrettanto positiva è la dinamica dei salari che salgono, ma non troppo, non abbastanza per fare i conti alla pari con le prime due voci. Quindi presto o tardi i consumatori finiranno sotto pressione, ovvero non avranno soldi abbastanza per soddisfare le offerte. La spesa e la fiducia quindi si ridurranno e, visto che l'economia Usa si basa al 70% sui consumatori, non è difficile arrivare alla conclusione che la dinamica recessiva è alle porte, se non già iniziata. E se parte dagli Stati Uniti...
Commenti
Posta un commento