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Il taglio della paura - The cut of fear


E' la prima volta da un decennio, apparentemente nel momento meno indicato: il taglio dei tassi d'interesse annunciato dalla Fed arriva mentre l'economia Usa non è mai andata così bene - ha proseguito con gli effetti positivi cominciati già con Obama e proseguiti con Trump e le sue leggi di stimolo fiscale per gli strati più alti della popolazione
anche se in quest'ultimo caso si sta appesantendo in modo preoccupante il deficit federale - la disoccupazione è ai minimi storici e perfino sul piano politico il presidente ha meno problemi del previsto dopo la sua vittoria sui fondi per il muro con il Messico e la "non-innocenza e non-colpevolezza" del rapporto Mueller.
Eppure la mossa della Fed tradisce una  serie di timori che per ora sono sullo sfondo, un complesso di ombre che si stagliano all'orizzonte e che fanno trapelare altri scenari in cima ai pensieri dei banchieri centrali. Il taglio attuale è di quelli classificati come "assicurativi" a fronte di una inflazione che non si riprende, di una crescita globale che non dà segnali di vivacità e con una guerra commerciale i cui danni si stanno cominciando a intravedere.
A dare il segnale che i mercato hanno interpretato male sono state però le parole del governatore della Fed, Jerome K Powell secondo il quale questo taglio dei tassi non l'inizio di un lungo ciclo di riduzioni, il che significa che la banca centrale non è intenzionata a dare munizioni e incentivi per combattere il periodo di bassa crescita e la recessione sempre più incombente. Per questo i mercati hanno reagito male e lo stesso Trump, che vorrebbe rimuovere Powell, ha colto la palla al balzo per attaccare il numero 1 della Fed e la sua politica la quale, a detta della Casa Bianca, non consentirebbe agli Stati Uniti di tenere il passo con la Cina  e perfino con l'Europa dove un Mario Draghi a fine mandato ha tracciato la strada di ulteriori stimoli monetari per affrontare la bassa crescita della zona euro nei prossimi mesi alle prese anche con le ricadute di una Brexit, forse pure no deal.
A spingere la Fed è che l'inflazione al 2% attesa e sperata non è stata raggiunta, anzi si è lontani. E questo, come spiega Il NyTimes, non va bene perché una deflazione persistente convince i consumatori a risparmiare in attesa di prezzi e costi futuri più bassi.
... "Officials have long aimed for 2 percent as the sweet spot for price gains. A little inflation is good, because it provides a buffer to keep prices from sinking during times of slow growth. Outright deflation is dangerous because it causes consumers to hoard cash, knowing that goods and services will be cheaper tomorrow. The problem? Inflation hasn’t hit the goal sustainably since the Fed formally adopted it in 2012. Stubbornly low inflation has also bumped up the risk that expectations for future inflation will drift lower". (NyTimes)
Proprio le previsioni o le attese per il futuro sono alla base delle dinamiche delle autorità bancarie ma anche degli analisti economici. Più che i dati in tempo reale funzionano, anzi hanno un peso decisivo le aspettative di ciò che potrebbe verificarsi.

Tratta dal NyTimes

Insomma si corre ai ripari per quanto potrebbe verificarsi, indipendentemente dalle possibilità che questo poi si concretizzi o meno. L'atteggiamento di mettersi al coperto per evitare danni oltre a tradire una scarsa fiducia nel breve periodo, a privilegiare la logica del negativo, del pessimismo sul resto probabilmente è uno dei frutti avvelenati della Grande Crisi del 2008 e, chissà, forse anche dell' 11 settembre. Con tutta probabilità sarà il timbro di questo secolo, in netta contrapposizione con quanto accadeva prima, nell'era dello sviluppo che si credeva infinito, dell'ottimismo post seconda guerra mondiale, di un mondo pre Internet e pre AI.

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