In due giorni due tweet di "vittoria": uno sui dati del lavoro, l'altro sulla riforma costituzionale. Entrambi esaltanti (ed esaltati). Com'è nello stile di Matteo Renzi. Pazienza se poi, come nel caso dell'occupazione, la metà dei nuovi assunti sono trasformazioni o ex apprendistato, più i voucher (162 milioni quelli venduti nel 2015, nuova fabbrica del precariato ancora più precario, con una media di500 euro per ciascun percettore)
e i circa 12 miliardi di spesa in tre anni che convincono chiunque che è meglio assumere qualsiasi passi dalle parti della propria azienda, fosse anche l'idraulico che viene a fare una riparazione a casa. Tanto conviene: fino a 8 mila euro per ciascun assunto d'incentivo sui contributi previdenziali. Un affarone!
Sul secondo tweet meglio rimandare ogni grido belluino a dopo il referendum: il voto popolare potrebbe buttare il raffazzonato testo della Boschi nel cestino e magari spingere il premier ad andarsene (se lo farà).
Oggi come oggi però il premier è e resta protagonista. Soprattutto perché, dopo aver criticato per mersi e anni i populisti che se le prendono con le burocrazie di Bruxelles, egli ha ripreso la stessa strada, celandosi solo dietro il comodo paravento dell'adesione del suo Pd al gruppo socialista europeo: critiche a Bruxelles, dichiarazioni improvvide di ritrovata autonomia e via dicendo. Magari la verve anti Ue qualche voto leghista o grillino in libera uscita può intercettarlo.
Al di là del valore effettivo di certi temi contestati (immigrati, bad bank, bail in) a colpire è la battaglia solitaria di Renzi vs Juncker. Come osservava l'altro ieri Massimo Franco sul Corriere
Nessuno ha parlato in difesa di Renzi e dell'Italia. Persino Federica Mogherini ha appoggiato Juncker suscitando le ire di Palazzo Chigi (e questo potrebbe confermare l'idea che Lady Pesc stia studiando da premier con una buona scuola europea alla spalle e tante amicizie).
Lui insiste, è convinto che il ramoscello d'ulivo alzato dopo tre giorni da Juncker segni una sua prima, parziale vittoria. Ma Bruxelles invece sa bene che la vendetta è un piatto che si consuma freddo: ad esempio in primavera quanto servirà il via libera della commissione alla legge di stabilità. Se non sarà così l'Italia finirà sotto tutela, dovrà tagliare il debito di un 20esimo. Cosa non semplice perché per farlo abbassare senza intervenire con tagli, "basterebbe" un rapporto al 120 per cento (e siamo oltre il 130), il pareggio di bilancio e una crescita del 2,5% (lo scorso anno ci siamo fermati attorno allo 0,8, forse si arriva allo 0,9) e quest'anno non si dovrebbe andare oltre l'1,4 (tensioni internazionali permettendo). E senza dimenticare che il calcolo è fatto con un'inflazione al 2%, cosa per ora molto lontana. Quindi con una legge di stabilità bocciata servirebbe subito una manovra aggiuntiva di 3-4 miliardi al minimo (il gettito della Tasi, all'incirca) e poi interventi lacrime e sangue in autunno con la legge di stabilità 2017.
E poi nel contenzioso ci sono le ricadute: forse sui migranti la Ue potrebbe concedere qualcosa - anche perché è un problema che ricade su tutti e quindi un aiuto all'Italia è doppiamente conveniente - ma sugli altri dossier (flessibilità aggiuntiva, fiscal compact, banche, incarichi in Europa) è difficile che il nucleo forte eviti di mettere l'Italia e Renzi soprattutto all'angolo. Con i mercati che, intuendo la debolezza del premier e del suo Paese, sarebbe pronti a scatenarsi ben più e meglio di quanto stanno facendo questi giorni.
Con lo scenario internazionale che si prepara (Cina con i suoi conti, Medio Oriente, petrolio, Paesi emergenti, terrorismo, crescita Usa più rallentata, consumi che non ripartono) la partita per l'Italia sarebbe veramente dura, forse letale. Ecco il Titanic. E se Renzi perdesse il referendum sulla riforma costituzionale potrebbe in lui affacciarsi la sindrome Schettino: il suo ritiro dalla scena politica (se ci fosse) assomiglierebbe a ciò che successe alla Concordia.
e i circa 12 miliardi di spesa in tre anni che convincono chiunque che è meglio assumere qualsiasi passi dalle parti della propria azienda, fosse anche l'idraulico che viene a fare una riparazione a casa. Tanto conviene: fino a 8 mila euro per ciascun assunto d'incentivo sui contributi previdenziali. Un affarone!
Sul secondo tweet meglio rimandare ogni grido belluino a dopo il referendum: il voto popolare potrebbe buttare il raffazzonato testo della Boschi nel cestino e magari spingere il premier ad andarsene (se lo farà).
Oggi come oggi però il premier è e resta protagonista. Soprattutto perché, dopo aver criticato per mersi e anni i populisti che se le prendono con le burocrazie di Bruxelles, egli ha ripreso la stessa strada, celandosi solo dietro il comodo paravento dell'adesione del suo Pd al gruppo socialista europeo: critiche a Bruxelles, dichiarazioni improvvide di ritrovata autonomia e via dicendo. Magari la verve anti Ue qualche voto leghista o grillino in libera uscita può intercettarlo.
Al di là del valore effettivo di certi temi contestati (immigrati, bad bank, bail in) a colpire è la battaglia solitaria di Renzi vs Juncker. Come osservava l'altro ieri Massimo Franco sul Corriere
"per il momento, purtroppo, il presidente del Consiglio è circondato dal silenzio apparentemente ostile degli altri Stati europei"e infatti nessuna voce si è levata per aiutare l'Italia a sostenere in alto la bandiera del "siamo tornati" (come se qualcuno, dopo gli anni di virile divertissement dell'ex Cav, ne sentisse il bisogno): non l'ha fatto la Gran Bretagna il cui fantasma del Brexit comincia a insidiare la mente di Cameron che pure il referendum sulla permanenza nella Ue ha voluto e quindi parte delle rivendicazioni italiane dovrebbe condividere; non l'ha fatto la Spagna ancora senza governo, non l'hanno fatto i Paesi del Nord Europa alleati della Germania. Zitta pure la Merkel (ma in compenso si è fatto sentire, caustico, il presidente del Ppe Weber), zitta la Francia impegnata a guardarsi il proprio ombelico e a tremare al pensiere che la Le Pen possa entrare al'Eliseo, non l'hanno fatto i Paesi dell'est europeo le cui basi democratiche di alcuni sono state messe all'indice proprio dalla Ue e che pure non lesinano critiche dure a Brusselles, non l'ha fatto la Grecia di Tsipras che in condizioni diverse e peggiori ha sollevato le stesse obiezioni di renzu sulla Ue. Salvo poi accorgersi che
Nessuno ha parlato in difesa di Renzi e dell'Italia. Persino Federica Mogherini ha appoggiato Juncker suscitando le ire di Palazzo Chigi (e questo potrebbe confermare l'idea che Lady Pesc stia studiando da premier con una buona scuola europea alla spalle e tante amicizie).
Lui insiste, è convinto che il ramoscello d'ulivo alzato dopo tre giorni da Juncker segni una sua prima, parziale vittoria. Ma Bruxelles invece sa bene che la vendetta è un piatto che si consuma freddo: ad esempio in primavera quanto servirà il via libera della commissione alla legge di stabilità. Se non sarà così l'Italia finirà sotto tutela, dovrà tagliare il debito di un 20esimo. Cosa non semplice perché per farlo abbassare senza intervenire con tagli, "basterebbe" un rapporto al 120 per cento (e siamo oltre il 130), il pareggio di bilancio e una crescita del 2,5% (lo scorso anno ci siamo fermati attorno allo 0,8, forse si arriva allo 0,9) e quest'anno non si dovrebbe andare oltre l'1,4 (tensioni internazionali permettendo). E senza dimenticare che il calcolo è fatto con un'inflazione al 2%, cosa per ora molto lontana. Quindi con una legge di stabilità bocciata servirebbe subito una manovra aggiuntiva di 3-4 miliardi al minimo (il gettito della Tasi, all'incirca) e poi interventi lacrime e sangue in autunno con la legge di stabilità 2017.
E poi nel contenzioso ci sono le ricadute: forse sui migranti la Ue potrebbe concedere qualcosa - anche perché è un problema che ricade su tutti e quindi un aiuto all'Italia è doppiamente conveniente - ma sugli altri dossier (flessibilità aggiuntiva, fiscal compact, banche, incarichi in Europa) è difficile che il nucleo forte eviti di mettere l'Italia e Renzi soprattutto all'angolo. Con i mercati che, intuendo la debolezza del premier e del suo Paese, sarebbe pronti a scatenarsi ben più e meglio di quanto stanno facendo questi giorni.
Con lo scenario internazionale che si prepara (Cina con i suoi conti, Medio Oriente, petrolio, Paesi emergenti, terrorismo, crescita Usa più rallentata, consumi che non ripartono) la partita per l'Italia sarebbe veramente dura, forse letale. Ecco il Titanic. E se Renzi perdesse il referendum sulla riforma costituzionale potrebbe in lui affacciarsi la sindrome Schettino: il suo ritiro dalla scena politica (se ci fosse) assomiglierebbe a ciò che successe alla Concordia.
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