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Tu chiamale depressioni

Il terrore scorre sugli schermi dei megacomputer degli investitori e dei broker di mezzo mondo. Un terrore che ha un nome: depressione. "non siamo alla vigilia di un nuovo 2008" sostengono gli analisti ma sembrano parlare più a se stessi, per darsi coraggio, che a chi chiede aiuto e suggerimenti per sapere dove spostare il proprio denaro.

I numeri di questo gennaio nero sono impietosi: Il Dow Jones Industrial Average è sceso a 390.97 punti, o se si preferisce del  2,4%, per finire a 15.988,08, il più basso dallo scorso 25 agosto. L'S & P 500 è sceso del 2,2% e il Nasdaq Composite è caduto del 2,7%. Il Dow e lo S & P 500 hanno marcato una flessione oltre l'8% in questo anno, mentre il Nasdaq ha superato 10% nel suo crollo di gennaio. E siamo solo all'inizio delle cause: venerdì 15 il prezzo del petrolio è sceso sotto i 30 dollari al barile. E potrebbe essere solo l'inizio: Goldman Sachs pronostica una soglia di 20 euro a breve. E dire che i 31 dollari di qualche giorno fa segnavano già il minimo dal dicembre 2003. Le altre grandi banche d'affari si allineano sulla previsione, Standard Chartered si spinge fino a 10 dollari. Un segnale che la caduta non è finita potrebbe arrivare dagli hedge found che hanno rivisto le posizioni rimbalziste fissandosi su un taglio del 25%. Per dare un riferimento temporale il petrolio era a 20 dollari nell'85, altri tempi, altro mondo, altre previsioni. Altra finanza.Lasciamo da parte per il momento l'oro nero (un consiglio: per capire i giochi di tanti anni fa è c'è un bel thriller politico-economico "Oro nero" appunto edito dalla Sellerio e scritto da Dominique Manotti): dietro lo sprofondo invernale dei mercati c'è un'ombra... rossa stavola, la Cina.  Come riporta il sito italian.cri.cn 
"il 12gennaio, il China Credit Rating ha pubblicato a Beijing, il Rapporto 2016 sulle prospettive macroeconomiche e sul credito di 24 settori. Il documento prevede una crescita del 6,7% del Pil cinese nel 2016 e stima un aumento generico dei rischi al credito, senza però peggioramenti evidenti". 
Il guaio è che Il Pil  ha perso per strada uno 0,2 che induce alle previsioni più fosche (export dato come stabile e import in leggera contrazione), ma gli esperti non sono sicuri delle informazioni di Pechino e c'è chi parla che il dato del Pil effettivo non sia distante dal 4%. Fatto sta che l'economia del Dragone è in frenata, lo yuan è sempre più debole, secondo il Wall Street Journal lo 
"Shanghai Composite Index è caduto del 3,55% a 2.900,97, il livello più basso dal dicembre 2014. L'indice è entrato territorio orso, dopo aver perso il 20% da un massimo alla fine di dicembre, a seguito di un rapporto dei media di stato secondo cui alcune banche cinesi non stavano più accettando titoli come garanzia per i prestiti. Allo stesso tempo, i dati ufficiali hanno mostrato la debolezza dei prestiti bancari."
Ma è la psicologia a giocare una partita importante: si diffonde la sensazione che l'accenno di ripresa, soprattutto negli Usa, stia scemando. A dicembre l'indice delle vendite al consumo è calato, sono aumentate le richieste di titoli di Stato a 10 anni con rendimenti di conseguenza scivolati sotto il 2%, aumenta il rendimento dell'oro e le scorte sono in discesa senza contare che l'importante settore dell'automotive rischia di pagare caro gli scandali Volkswagen e ora Renault. Il timore è che l'effetto panico dilaghi.
E si torna al petrolio perché a giocare al ribasso sono le attese sulla frenata cinese: meno richiesta di petrolio e l'Arabia impegnata a tenere bassi i prezzi - con costi sempre più cari sul fronte interno - per mettere fuori gioco lo shale oil statunitente (i fallimenti di molte società cominciano a preoccupare un'economia pur sana questa degli ultimi mesi di Obama presidente), ma anche il prossimo ingresso nella produzione ed esportazione dell'oro nero iraniano contribuisce ad affossare i livelli dei prezzi e le speranze di risalita. Speranze al lumicino in Russia che, per la prima dopo anni, progetta anche un taglio delle spese militari.
E l'Europa? Banca Mondiale ha ridotto le stime di crescita per il 2016, fissando il punto al 2,9, 0,4% in meno del giugno scorso. Ma quanto sta accadendo in questi giorni non depone  a favore di uno slancio ottimistico e il QE di Draghi non sta dando i risultati attesi. Paradossalmente è l'Italia che sembra essere sulla strada della guarigione con Bankitalia che stima per il 2016 una crescita del Pil al 1,5% dopo lo 0,8% del 2015, sulla spinta più del mercato interno che non dell'export. Export che è alla base dei rischi all'orizzonte che Via Nazionale annota a margine. Per ora. E incrociando le dita.

Ps. Nel pezzo ho parlato di depressione, calcando volutamente su una dinamica economica più grave della recessione in quanto, seppur in senso tecnico stretto non sia "corretto", ritengo che il trend dal 2008 non sia ancora definitivamente e significativamente cambiato rispetto al 2008 e agli anni della grande crisi. Per avere un'idea dei due termini vedere qui

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