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La sorpresa di Biden e lo sprofondo di Gaza


Sull’orlo della demenza, campione di gaffe, incapace di distinguere una capo di Stato da un altro, problemi di deambulazione e chi più ha più ne metta. Sul presidente americano Joe Biden nei mesi scorsi sono piovute accuse, insinuazioni e invenzioni di ogni tipo, molto - forse troppe - apparentemente indipendenti, in realtà frutto di una strategia filo repubblicana per delegittimare il presidente in carica ed esaltare il suo avversario, Donald Trump. ma dietro vi potrebbe essere molto altro, di ben peggiore. Qualcosa che guarda a Est e non serve molta fantasia per capire.


Invece nel suo discorso sullo Stato dell’Unione, Joe Biden ha ribaltato e rimandato tutte le accuse al mittente: si è mostrato veemente, in forma, vigile e preparato, dando proprio l’impressione che non ha problemi a guidare oggi e nel prossimo futuro la più grande potenza al mondo. Richiamandosi non solo alle sue politiche, più positive per gli Isa di quanto può apparire di qua dell’oceano, ma ai principi che hanno fatto dell’America il grande Paese che è, sopratutto in termini di diritti, democrazia, rispetto delle libertà fondamentali.

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Per avere un’idea della performance di Biden e del contesto in cui il presidente si prepara ad affrontare il vecchio avversario Trump, niente di meglio che il reportage a settimanale di Francesco Costa, vice direttore de Il Post che alle elezioni Usa dedica un diario accurato, esaustivo e dettagliato. Lo potete leggere qui sotto.

👉👉👉 Da Costa a Costa 👈👈👈

Si diceva di Biden e delle sue politiche in tempi post Covid ma nei quali il presidente Usa ha dovuto fare i conti con una nuova , devastante guerra in Europa, che ha finito per coinvolgere indirettamente gli stessi Usa e aprire le porte a un possibile - non impossibile, notare bene - conflitto mondiale e a una confronto nucleare. Una panorama devastante al quale si è aggiunto l’altro fronte incandescente, ancora più complicato da affrontare e da risolvere, almeno per Washington: la strage di Hamas del 7 ottobre del 2023 e la guerra di Israele contro i palestinesi di gaza con tutto l’orrore che si è portata appresso.

“…la sua postura era adeguata alla politica di oggi. Il tradizionale garbo istituzionale non offre alcuna risposta alla sfida unica posta da Trump”. (E. Luce, Financial Times)

Eppure in tutto questo le performance di Biden e del suo Paese sono tutt’altro che negative. In altre situazioni e in mondo colto, non ispirato dalla melma social e da popoli meno vessati dalla disgrazia populista anche sul piano culturale, un presidente con i dati Biden sarebbe rieletto al volo. Ma non è così o non sarà così facile, tanto che nei sondaggi il Trump che rilancia parole d’ordine di dittatura e deportazioni di massa, è ancora avanti. Ma molto meno di tempo fa, anzi forse già adesso non lo è più in vantaggio. Ed è tutto da calcolare quanto può danneggiare paradossalmente il ritiro di Nikki Haley dalle primarie repubblicane, visto che la stessa ex ambasciatrice non è propensa ad aiutare il suo ex presidente e tantomeno i suoi elettori, il vecchio zoccolo repubblicano che potrebbe turarsi il naso e votare per Biden

👉 Il fattore Haley

👉 La sfida con “Nessuno”

Ma un’analisi dettaglia di Bloomberg evidenzia i parametri su cui potrebbe contare Biden. Eccoli qui sotto, meglio leggere questi che affidarsi ai sondaggi..

👉👉👉I dati sulla Bideneconomics👈👈👈

👉 Il ritorno di Biden

👉 I punti dello Stato dell’Unione

👉 L’analisi

👉Il problema età

👉Il guaio Gaza per i Dem

Il buco nero di Gaza

Trentamila morti palestinesi, per oltre tre quarti civili e soprattutto donne e bambini, distruzione quasi totale dell’ossatura istituzionale, della salute, dell’istruzione e della capacità economica della Striscia. Questo il bilancio, dopo cinque mesi dal 7 ottobre, dell’offensiva israeliana che mira a fare terra bruciata dell’area, più con il residuo pensiero, nascosto e non troppo, di allargare la sovranità totale attraverso la colonizzazione su uno dei due residui territori della Palestina. Ma se il risultato militare era scontato - anche se i tunnel non sono stati messi tutti fuori gioco - quello politico è in alto mare. Anzi si può dire fallimentare e soprattutto senza via d’uscita per l’esecutivo di Tel Aviv. Netanyahu, prigioniero non troppo recalcitrante, dell’ala estrema non ha un piano alternativo a quello di riportare la Striscia sotto il governo israeliano e, in sostanza, ridurre la Palestina a quanto resta della Cisgiordania, mangiucchiata giorno dopo giorno dai coloni. E soprattutto senza che i palestinesi possano godere di un loro governo e una loro autonomia das Stato sovrano.

Non c’è un domani certo, ma neppure l’oggi al di là del disastro umanitario a cui si cerca, con difficoltà, di porre un argine con gli aiuti dal cielo e il prossimo molo galleggiante in stile Normandia ‘44. Gli ostaggi, quelli ancora vivi, restano prigionieri, Israele non vuole lasciare alcun spazio di manovra non solo ad Hamas - che sarebbe anche comprensibile - ma neppure all’Anp, soprattutto se guidata da nuovi dirigenti, non corrotti e rispettati, tipo Marwan Barghuti che, però, deve essere liberato dalle carceri israeliane.

👉Il porto provvisorio

👉Il cessate il fuoco impossibile

👉Il nodo Houthi

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