E’ morto in un gulag moderno ma neppure troppo. Morto per esilio, condanna in condizioni estreme, isolato, ammazzato prima dentro e ora fuori. Distinguo della destra italiana a parte, ha ragione l’ex consigliera di Bush jr, Obama e Trump, Fiona Hill quando afferma che la morte di Aleksej Navalny, lo storico oppositore di Putin, conferma che quest’ultimo “ormai non teme nessuno e sta dicendo al mondo che Navalny l’ha fatto fuori lui” .
Il neozar, infatti, al contrario di alcune attese o analsi sbagliate, si dimostra più saldo e sicuro di un paio d’anni fa, al momento dell’invasione dell’Ucraina. Le sanzioni hanno prodotto effetti pesanti sulla economia russa, ma non così fatali, anche perché il regime riesce a nascondere gli effetti, limitarli e in parte aggira i provvedimenti occidentali con le triangolazioni attraverso gli “amici” Cina e India, ma anche con l’apporto di molti Paesi mediorientali e asiatici, nonché africani e sudamericani che gli forniscono la sponda giusta. QUI
Ma si mostra anche più sicuro perché, oltre che ai progressi sul campo ottenuti a un prezzo pesantissimo di sangue - anche qui con impatto inferiore al previsto sulla società russa avendo fatto ricorso alla carne da macello dei condannati, dei mercenari esteri, dei soldati delle regioni asiatiche più lontane e isolate - avverte la stanchezza dell’Occidente, sempre alle prese con la sua inflazione/recessione e con i venti di destra estrema che soffiano sulle democrazie liberali. Stanchezza e influenza occulta ottenute anche grazie alle infiltrazioni degli hacker e all’attività spinta con ogni mezzo, soprattutto quelli illegali, di lobbing. L’esempio più clamoroso sono l’impasse americano sulla fornitura di armi a Kiev, grazie al no dei repubblicani pro Trump (tutt’altro che distante dai sospetti e molto ammiratore della democratura russa), e le azioni da quinta colonna in partiti e forze di governo presenti in Occidente a vari livelli.
“Quello che Putin sta dicendo è: sono stato io. E dovrete farci i conti. Gli altri oppositori come Khodorkovskij o Kasparov non gli interessano perché non hanno mai avuto alcuna presa sui russi. Navalny sì. Quando fu avvelenato, stava facendo un’efficace campagna elettorale in Siberia con lo smart voting. Persino dalla prigione riusciva a comunicare, a parlare ai russi. Non c’era nessun altro oppositore plausibile. Ma è anche ovvio che Putin ha scientemente corso il rischio di trasformarlo in un martire. Perché ha visto come il mondo ha reagito all’assassinio di Prigozhin”. (Fiona Hill, La Repubblica)
👉 Navalny l’oppositore nazionalista e, per questo, ancora più pericoloso per Putin.
👉 La lotta alla corruzione putiniana
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👉 Navalny’s Death and the Continuing Global Fight Against the Power of Corruption - The Globalist
Intanto a Gaza…
Si combatte e si muore, civili in gran parte. Con Israele che finge, nello spirito di vendetta che la anima e nella determinazione di Netanyahu di salvarsi ascoltando le sirene dell’ultradestra che mira alla distruzione fisica dei palestinesi e delle loro aspirazioni a un o Stato, di voler solo l’eliminazione di Hamas - come sia possibile non si sa, essendo Hamas un’idea, un progetto oltre che un’organizzazione combattente - e la liberazione degli ostaggi - anche questa una chimera perché, se non liberati in altro modo, prima o poi finiranno tutti sotto le gombe dei loro concittadini -. Così l’America di Biden non può molto, il resto del mondo non osa mettersi troppo di traverso agli israeliani sotto il ricatto di passare come apripista di un antisemitismo pure risorgente ma non così pericoloso nelle sue dimensioni. Resta il fatto, difficile da digerire a Tel Aviv come nelle cancellerie ma soprattutto nella Cisgiordania governata, si fa per dire, dalla corrotta Anp, che purtroppo il 7 aprile, con il suo massacro indicibile, ha finito per rilanciare l’eterna questione palestinese altrimenti dimenticata da anni. Da allora la causa è tornata ad animarsi in mezzo mondo, alimentandosi - un’altra volta purtroppo - della cieca reazione israeliana, perfino gli Usa sostengono la tesi dei due popoli per due Stati e i moderni satrapi arabi sono stati costretti ad accantonare gli accordi di Abramo e tornare, controvoglia, al fianco dei palestinesi. Un giorno, chissà quando, anche la destra moderata israeliana dovrà fare i conti con questo disastro mediatico e diplomatico. Intanto è corsa contro il tempo per fermare la catastrofe umanitaria di un attacco a Rafah.
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