Inutile girarci intorno o volerlo negare in base ai pregiudizi. O anche riferendosi al semplice buon senso o della storia del dopoguerra, fra il Novecento e gli anni Duemila. Tra l’altro, per quanto possa pesare - ma quanto a sentiment il peso ce l’ha - a Davos è argomento di discussione se non in modo chiaro, ma nei salotti, nei briefing e nei party l’argomento tiene banco. Insomma l’ipotesi non è tanto campata per aria: Donald Trump potrebbe tornare a fare il presidente degli Stati Uniti.
Dopo la travolgente vittoria ai caucus dello Iowa, per quanto il voto in questo piccolo Stato abbia un peso relativo sui delegati da eleggere, le possibilità sono cresciute in modo consistente. E qualcuno si prepara, si riallinea, si riposiziona. Naturalmente non a gratis, o comunque individuando possibilità nel mondo caotico che la rielezione di Trump finirà per generare.
A dare la stura alla riabilitazione - che in Italia si potrebbe riassumere nel famoso “in fondo quando c’era lui i treni arrivavano in orario - ci ha pensato il ceo di JP Morgan Chase, Jamie Dimon secondo il quale Biden e i democratici dovrebbero stare attenti a non demonizzare i seguaci dell’ex presidente e fan dal MAGA, “perché - ha detto - potrebbero danneggiare la campagna elettorale di Joe Biden”. E’ noto che l’attuale inquilino della Casa Bianca sta puntando le sue carte sul pericolo Trump per la democrazia e la minaccia dei suoi sostenitori più accesi, diversi - avverte - dalla base repubblicana. Biden, tuttavia, non deve scordare la capacità di ricatto feroce e senza scrupoli che il suo predecessore ha su chi nel GOP non lo appoggia, dimostrando che il dato significativo del trumpismo è la lealtà piuttosto che l’adesione ideologica. Come ricorda, con tanto di esempi concreti, Axios
Dimon però è andata ben al di là dell’avvertimento e si è abbandonato a una serie di complimenti per i risultati raggiunti nei quattro anni di Trump alla Casa Bianca:
“Take a step back, be honest. He was kind of right about NATO, kind of right on immigration. He grew the economy quite well. Trade tax reform worked. He was right about some of China.”
In ogni caso Dimon non si chiude, accortamente, alcuna porta e avverte di prepararsi a qualsiasi esito del voto:
“I have to be prepared for both. I will be prepared for both. We will deal with both.”
Al WEF di Davos l’argomento tiene banco e si riscontra come, per certi versi, il ritorno non spaventi più come otto anni fa. A incarnare questi sentimenti sono soprattutto gli Stati più illiberali e governati da autocrati. Non è un segreto che Putin, come riferisce anche POLITICO, non si rassegnerà a colloqui di pace per l’Ucraina fino a quando non si saprà chi sarà il presidente. Non è un mistero cosa significa la frase di Trump secondo il quale, con lui la guerra finirà in 24 opre. Ovvero con la resa Ucraina, senza più aiuti e sostegno, e la vittoria di Mosca. Ma un’ascesa di Trump sarebbe vista bene da parte di alcuni Brics, dell’Argentina, dell’Ungheria di Orban, dell’Italia meloniana, dei paesi moderati della penisola araba, Riad in testa, della Turchia (con l’incognita della posizione di Ankara verso Israele).
In compenso l’allarme massimo è in Europa, vittima sacrificale dell’ex tycoon. Già in passato Trump si era schierato per l’addio alla Nato, avvertito le capitali europee che l’America non sarebbe più corsa in aiuto in caso di bisogno (e con Putin alle porte e allenato dall’assalto a Kiev, la prospettiva è più inquietante ancora), che vanno rivisti legami commerciali ed economici.
“European Commissioner Thierry Breton — a senior figure in the EU’s executive body, responsible for a broad remit from tech regulation to industrial policy — revealed last week that at Davos in 2020, Trump privately warned the U.S. would not come to the EU’s aid if it was attacked militarily.” (POLITICO)
Dal canto suo, sempre POLITICO ricorda che per Majda Ruge del Consiglio europeo per le relazioni estere la revisione dello stato amministrativo annunciata da Trump “rischierebbe di trasformare l’America in una democrazia illiberale – che potrebbe ridefinire il suo rapporto con il mondo”. La stessa presidente della Bce, Christine Lagarde non ha usato mezze parole:
“If we are to draw lessons from history, looking at the way he ran the first four years of his mandate, it’s clearly a threat, Just look at the trade tariffs, the commitment to NATO, the fight against climate change. In these three areas alone in the past, American interests have not been aligned with those of Europe”
Il mondo finanziario, Davos e le sue elite odiate da Trump o non Davos, però si prepara, come sempre accade in questo ambito che non sceglie in base alle preferenze politiche quanto piuttosto agli interessi degli investitori e delle imprese. Suzanne Lynch e Zachary Warmbrodt di POLITICO hanno raccolto le confidenze di un ex funzionario del Tesoro di Trump secondo il quale “la comunità aziendale statunitense si sta sentendo sempre più a suo agio con l’idea che Trump possa tornare e questo potrebbe non essere così negativo come previsto” anche sulla scorta dell’insoddisfazione per le politiche di Biden.
Il problema principale resta che un’alternativa concreta a Trump in campo repubblicano non c’è. I risultati di Ron SìDeSantis e Nikki Haley nello Iowa hanno confermato la debolezza degli antagonisti. QUI e QUI.
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