Un merito il segretario del Pd Enrico Letta ce l'ha, al di là della sua uscita/proposta un po' estemporanea sul ritocco della tassa sulle successioni e per questo esposta a mille strali e a qualche diniego più o meno interessato (per motivi politici o strategici, non personali) come quello di Mario Draghi: ha il merito di aver riportato o aver aperto una discussione nel Paese più concreta rispetto alle facezie molto italiane e quindi superficiali su riaperture/aperitivi/ristoranti/coprifuoco.
L'idea di alzare la tassa di successione - oltre i 5 milioni di euro - per fornire ai giovani una dote di 10 mila euro ciascuno, ha sollevato un polverone, anche questo molto superficiale e mediatico nella peggiore accezione del termine. Neppure che in Italia, come con ironia e sarcasmo ha sottolineato qualcuno, la maggior patet dei cittadini avesse in casa patrimoni superiori ai 5 milioni di euro da ereditare, o altresì Ferrari, castelli e decine di appartamenti.
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L'argomento invece è ben più concreto e, su questo Letta poteva essere più esplicito e rendere la proposta più ricca già in partenza, e giustamente va collocata dentro una riforma profonda e definitiva (almeno per alcuni decenni) del fisco. Se questa premessa arriva da tutti i commentatori, dall'altro canto però non si può accantonare la tesi lettiana con il vieto e pretestuoso giustificativo che, appunto, serve un nuovo quadro generale. Il che rischia di finire come il "cane che si morde la coda" oppure "è nato prima l'uovo o la gallina" in modo, come accade di solito a queste latitudini, di rinviare sine die il problema e la soluzione.
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Non mancano i punti a favore dell'idea: in Italia la tassa di successione è bassissima, infima e ristretta rispetto al resto d'Europa (e del mondo), generà sono lo 0,5 % del pil rispetto all'attuale 0,05%. Con il piano del Pd si arriverebbe al 20% dall'attuale 4, ma resteremmo ben distanti dal 45% francese, dal 40% britannico, dal 34 spagnolo e dal 30 tedesco. Quindi un inizio di riequilibrio e redistribuzione. Inoltre un aiuto ai giovani, seppure parziale e molto a pioggia o con il taglio dei bonus distorsivi. Un aumento delle entrate fiscali che consentirebbe, al netto della dote giovanile, di intervenire in modo significativo sulle altre aliquote e sulle poste del fisco.
Importanti anche i dubbi: come individuare i veri patrimoni, soprattutto quelli liquidi che sarebbero spostati in una frazione in forzieri lontani e inaccessibili. Cosa che peraltro avviene già ora. Si finirebbe altresì per aumentare, nel complesso, una pressione fiscale già consistente, seppur squilibrata e affetta dal vero e massimo cancro: l'evasione e l'elusione fiscale, un "piccolo" tesoretto tutto italiano di 200 mld o giù di lì fra Irpef e Iva.
Una cosa è certa al di là della fine della proposta Letta: che, Recovery Plan o no, la questione fiscale non è più rinviabile legata strettamente com'è allo sviluppo, alla crescita ma soprattutto alla necessità di ritrovare equità e correggere le disuguaglianze che, se erano già gravi prima della pandemia, oggi sono decisamente insopportabili. Non per nulla di intervenire e correggere parlano organismi non certo rivoluzionari come il Fmi (QUI), moltissimi straricchi del mondo, un "guevarista" (!!!!) come Biden
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